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Schumann: i volti e le maschere (CD Arts con Carnaval e Davidsbündlertänze - Alessandra Ammara, 2010)

Non hai guardato abbastanza profondamente nei Davidsbündlertänze. Penso siano completamente diversi da Carnaval. Sono come volti alle maschere”.

 

Così Robert Schumann scriveva a Clara Wieck nel 1838, a proposito dei due grandi polittici presenti in questo CD. L’accostamento di Carnaval e Davidsbündlertänze è quanto mai opportuno e stimolante, poiché consente di scoprire il complesso mondo schumanniano guardandolo da due punti di vista diversi e complementari. Entrambi questi lavori, infatti, sono reciprocamente connaturati e insieme possono essere considerati un esplicito manifesto dell’arte schumanniana.

 

Dai primi anni ’30 Schumann aveva preso l’abitudine di esternare il proprio immaginario poetico anche tramite alcuni scritti, che a partire dal 1834 pubblicò nella Neue Zeitschrift für Musik. Nella sua prosa, visionaria e innovativa quanto la sua musica, Schumann si esprimeva tramite vari alter ego: Florestan, Eusebius, Maestro Raro. Questi erano membri della Lega dei Fratelli di Davide (Davidsbündler), di cui lui stesso ci dà notizia: “E qui sia fatta ancor menzione d’una lega ch’era più che segreta, perché esisteva soltanto nella testa del suo fondatore, la Lega dei Fratelli di Davide. Per portare a discussione diversi aspetti della concezione musicale, sembrò che non fosse fuori luogo inventare opposti caratteri artistici, di cui Florestano ed Eusebio erano i più importanti, e fra loro stava nel giusto mezzo Maestro Raro”. Eusebius e Florestan erano dunque le due anime della personalità schumanniana: l’uno irruente, passionale, combattivo; l’altro più introverso, poetico, sognatore. Maestro Raro, ispirato a Friedrich Wieck, padre di Clara e maestro di pianoforte di Schumann, incarna la figura di un saggio che armonizza le due identità opposte ed è pur sempre appartenente alla complessa personalità dell’artista. Schumann dichiara esplicitamente la propria multipla identità: in Carnaval (1834-35) due brani sono intitolati rispettivamente a Eusebius e Florestan; in Davidsbündlertänze (1837) tutte le danze sono firmate in calce da Florestano o da Eusebius, o da tutti e due.

 

Nel 1835 Schumann aveva ormai rinunciato alla carriera pianistica, dopo anni di intenso (ma tardivo) studio per diventare un grande virtuoso. Tuttavia, la sua concezione di virtuosismo era tanto rivoluzionaria e visionaria da indurlo a ideare soluzioni pianistiche di inusitata originalità, al limite del paradosso, eppure funzionali alla resa del suo immaginario poetico. Si potrebbe dire che la multipla identità presente a livello “autoriale” con Florestano ed Eusebio sia riflessa anche nei molteplici approcci pianistici compresenti nella scrittura schumanniana. In Davidsbündlertänze, ad esempio, sono frequenti gli sfasamenti ritmici tra le due mani, che si muovono con metri e accenti diversi o sfalsati, rendendo quasi irriconoscibili – e certamente molto poco danzabili – i ritmi di danza. Nella danza n. 3 la mano destra rimane indietro di una o due battute rispetto alla sinistra. Nel Carnaval la scrittura è più smaccatamente virtuosistica, ma senza una finalità spettacolare. Anzi, Schumann è quasi preoccupato che il Carnaval non sia un pezzo adatto al grande pubblico, come scriveva a proposito dell’esecuzione da parte di Liszt a Lipsia nel 1840:

A un mio lieve dubbio che un quadro carnevalesco così rapsodico potesse fare effetto su una folla, [Liszt] rispose che invece ben lo sperava, e ch’era la sua ferma opinione. Credo tuttavia si sia illuso. Se parecchie cose possono eccitare questo o quell’uditore, le sensazioni musicali però si mutano troppo rapidamente perché un intero pubblico, che non vuol essere disturbato ogni minuto, possa seguirle”. Schumann sembra quasi volere sfidare i virtuosi che, a differenza di lui, erano riusciti ad avere successo come concertisti. Gli sfasamenti tra destra e sinistra compaiono sin dal Préambule, e non stupisce, quindi, che in un brano come Paganini siano presenti salti asimmetrici e contemporanei delle due mani ad una tale velocità da essere ben più ardui di quanto possa sembrare all’ascolto.

 

La struttura di entrambi i lavori è altrettanto innovativa e connaturata agli spunti creativi dell’autore. Schumann non adotta una forma tradizionale, come la sonata, ma opta per il polittico, ossia una serie di brevi brani derivati dalle medesime cellule musicali. Queste cellule ‘germinatrici’ sono denunciate in forma di motto. In Carnaval il motto è costituito da Sphinxes (sfingi), un brano da non eseguire ma da leggere solamente. Quasi una chiave enigmistica, che riporta tre sequenze di note derivate dalle lettere A, S, C, H., come lo stesso Schumann scrisse: “Il nome di una piccola città [Asch] dove viveva una mia conoscenza musicale conteneva le note della scala che appunto appartengono anche al mio nome; così nacque uno di quei giochetti che dopo l’esempio di Bach non sono più nulla di nuovo. Un pezzo fu terminato dopo l’altro, appunto durante il carnevale del 1835, in seria disposizione di spirito e di speciali circostanze”. In Davidsbündlertänze il motto è invece presente all’inizio, e va suonato. Si tratta delle prime battute della Mazurka op. 5 di Clara Wieck, che informa tutte le danze successive, pur non essendo poi più riconoscibile all’ascolto. Anche il Carnaval, a sua volta, trae parzialmente spunto da un frammento musicale preesistente: il Sehnsuchtwaltz di Schubert, che appare in Promenade e nella Marche finale.

 

Schumann del resto amava le citazioni e le autocitazioni, in forma criptica o esplicita, al punto da farne un elemento fondante del proprio mondo poetico. Particolarmente stimolanti sono i frequenti rimandi reciproci tra Carnaval e Davidsbündlertänze, quasi a significare che i volti rimangono sempre un po’ legati alle proprie maschere. Nella danza n. 3 di Davidsbündlertänze, ad esempio, ritroviamo, dopo una poco riconoscibile citazione di Papillons op. 2, le battute 5-7 dalla Promenade del Carnaval. Una citazione di Papillons è del resto presente anche in Carnaval, dapprima celata nel basso del Préambule, poi esplicitata in Florestan, con tanto di didascalia e punto interrogativo: “Papillons?”, come se lo stesso autore rimanesse sorpreso di questa apparizione.

 

Dunque per Schumann l’affiorare di frammenti provenienti da altre proprie composizioni non è una calcolata autocelebrazione, ma un genuino, istintivo ‘riflusso’ della memoria, emerso da una delle voce interiori che animano la sua immaginazione. Accade anche che Schumann citi in una composizione un frammento della stessa, già apparso in precedenza: nella Marche finale del Carnaval viene ripreso un inciso del Préambule. Nello stesso brano è anche presente la citazione del Grossvatertanz (indicata con la didascalia Thème du XVII siècle), danza popolare tedesca già usata da Bach e dallo stesso Schumann in Papillons, che diventa qui protagonista della intensa, sfrenata stretta conclusiva del Carnaval.

 

In Davidsbündlertänze il rimando ad un brano precedente avviene in maniera straordinariamente toccante nella penultima danza, che sin dall’inizio riporta la didascalia Wie aus der ferne (come da lontano). Come nota Charles Rosen, il senso di lontananza, già ottenuto qui a livello spaziale con una innovativa disposizione lata dei registri e un continuo rintocco del fa diesis, viene accresciuto anche in senso temporale dal ritorno (dopo circa 25 minuti) della danza n. 2. Questo ritorno non è percepito come un ‘da capo’ o una ripresa, ma come “l’esistenza riscoperta del passato all’interno del presente”. Se nel Carnaval la ripresa del frammento precedente serve a perorare una conclusione con il massimo dell’energia usando lo stesso materiale tematico e la stessa tonalità dell’inizio, in Davidsbündlertänze lo sguardo dell’autore (e dell’ascoltatore) è invece rivolto indietro, e la conclusione è ben diversa dall’inizio. L’immanente malinconia della danza n. 2, infatti, si tramuta gradualmente in tragedia, per giungere ad un concitato epilogo, apparentemente conclusivo e inappellabile, al termine della penultima danza. Eppure dopo l’ultimo accordo di si minore sgorga inattesa un’ulteriore danza: l’ultima, in do maggiore, una sorta di valzer in un clima irreale, al di sopra del mondo terreno. Le inquietudini, gli struggimenti, le passioni vengono ora sublimate ad uno stadio spiritualmente ancora più elevato. Quella che doveva essere una fine diventa al contempo un nuovo inizio, e Schumann si congeda con queste parole: “In maniera assolutamente superflua, Eusebio aggiunse quanto segue, mentre i suoi occhi esprimevano grande beatitudine”.

 

Roberto Prosseda