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Liszt e l'Italia (CD Decca "Années de pèlerinage", 2011)

«Avendo in questi ultimi tempi visitato molti paesi nuovi, luoghi diversi, molti dei quali consacrati dalla storia e dalla poesia; avendo avvertito che i vari aspetti della natura e le scene che vi si riferiscono non passavano davanti ai miei occhi come delle immagini vane, ma agitavano nella mia anima profonde emozioni; che si stabiliva tra loro e me una relazione immediata, un rapporto indefinito ma reale, una comunicazione inspiegabile ma certa, ho tentato di rendere in musica qualcuna delle mie sensazioni più forti, delle mie più vive percezioni».[1]

Franz Liszt

 

 Franz Liszt (1811-1886) è stato il compositore che più ha valorizzato il patrimonio letterario ed artistico italiano attraverso la sua musica. Tra il 1837 e il 1839 Liszt viaggiò in Italia per circa due anni, soggiornando presso il Lago di Como, a Milano, Firenze, Lucca, Pisa e Roma. Si lasciò affascinare e permeare dalle bellezze dell’arte e dei paesaggi italiani e lesse avidamente molti capolavori della nostra letteratura. Infine visse quasi stabilmente a Roma a partire dal 1861 fino alla fine della sua vita. Era arrivato nella Città Eterna per contrarre il matrimonio con la principessa Carolyne Sayn von Wittgenstein, che peraltro non riuscì a sposare a causa di problemi burocratici legati al precedente matrimonio di lei. Nel 1865 prese gli ordini minori e il suo legame con l’Italia e con la religione cattolica divenne un elemento portante della sua vita.

Années de Pèlerinage, Italie è una raccolta di brani pubblicati nel 1858 ma inizialmente

concepiti da Liszt durante il primo soggiorno italiano, tra il 1837 e il 1839. Si tratta di una sorta di diario di viaggio in cui l’estrema padronanza del linguaggio strumentale si coniuga con un’acuta capacità di penetrazione della cultura e delle caratteristiche delle fonti ispiratrici. Accade così che Liszt riesca a farci apprezzare ancor più la poesia della pittura di Raffaello e dei capolavori di Dante e di Petrarca, trasponendoli in musica con grande sensibilità e rispetto per i dettagli stilistici ed espressivi degli antecedenti originali.

 

Sposalizio trae spunto dallo Sposalizio della Vergine di Raffaello Sanzio, che Liszt sa “ridipingere” in suoni rispettando la peculiare caratterizzazione stilistica dell’opera pittorica. Riesce infatti a mantenere quella delicatezza cromatica e quell’incantata, statica purezza che caratterizzano il quadro, tuttora conservato presso la Pinacoteca di Brera a Milano.

 

Il Penseroso è un modernissimo brano ispirato alla statua di Michelangelo sulla tomba di Lorenzo de’ Medici presso le Cappelle Medicee a Firenze. Liszt ha anche posto in partitura come motto un Sonetto dello stesso Michelangelo che rende adeguatamente l’atmosfera cupa e angosciante del brano:

 

    Grato m’è il sonno, e più l’esser di sasso.

    Mentre che il danno e la vergogna dura.

    Non veder, non sentir m’è gran ventura

    Però non mi destar, deh’—parla basso!

 

Il tono plumbeo del testo trova un’adeguata corrispondenza nell’ossessiva ripetizione di vuote ottave con ritmo puntato, che di volta in volta rivestono armonie diverse, latrici di scuri presagi.

 

La Canzonetta del Salvator Rosa ha invece un carattere ben più leggero, dando voce ad una scherzosa canzonetta – quasi una marcia – attribuita all’omonimo pittore barocco. In realtà la canzone è opera di Giovanni Battista Bononcini; il testo potrebbe essere invece di Salvator Rosa, e così recita:

 

   Vado ben spesso cangiando loco,

    Ma non so mai cangiar desio.

    Sempre l’istesso sarà il mio fuoco,

    E sarò sempre l’istesso anch’io.

 

La spensieratezza del brano ha una funzione di bilanciamento nell’ambito dell’economia generale del ciclo, in quanto compensa la “pesantezza” de Il Penseroso e prepara, con la tonalità di la maggiore, lo slancio appassionato del seguente Sonetto del Petrarca.

 

Liszt ha messo in musica tre Sonetti del Petrarca, dapprima in una versione per canto e

pianoforte, poi nelle più note trascrizioni per pianoforte solo. È qui notevole l’aderenza della musica ai valori emozionali del testo letterario. Il primo Sonetto, “Benedetto sia 'l giorno”, raffigura perfettamente l’esaltazione e lo slancio dell’innamoramento attraverso una melodia sempre molto espressiva e sensuale, ricchissima di tensione e chiaroscuri. Il secondo Sonetto, “Pace non trovo”, è invece pervaso dai profondi contrasti e sbalzi emotivi causati da un amore non corrisposto; essi vengono resi in musica con un uso ardito e straordinariamente moderno dell’armonia. Del tutto opposto il terzo Sonetto, “Io vidi in terra”, con un’atmosfera rarefatta e paradisiaca scaturita da una visione idealizzata e platonica del sentimento amoroso. La sublimazione della passione è rappresentata con un’accuratissima ricerca timbrica: il pianoforte è fonte di sonorità impalpabili e celestiali che anticipano le conquiste dell’impressionismo francese.

 

La Fantasia quasi Sonata “après une lecture de Dante” è un affresco musicale di vaste

dimensioni ispirato alla Divina Commedia e in particolare all’Inferno. Liszt riesce a rappresentare il clima cupo e sconvolgente dell’Inferno, i lamenti dei dannati, lo sguardo impaurito e sgomento di Dante. Non si tratta, però, di musica a programma. In questo caso, infatti, Liszt non ha dichiarato alcun esplicito riferimento a personaggi o episodi della Divina Commedia. Nella sezione centrale del brano, tuttavia, pare chiaramente individuabile l’episodio di Paolo e Francesca. Lo sguardo di Dio è altrettanto percepibile ed assume sempre maggiore evidenza nella parte conclusiva, in cui il tema del corale già ascoltato in precedenza ritorna con una luce prorompente, quasi a sottolineare l’onnipotenza di Dio e il suo definitivo trionfo sul Male.

 

Le Deux Légendes sono state composte a Roma tra il 1861 e il 1863 e sono ispirate ad episodi della vita di due grandi Santi italiani: San Francesco d’Assisi e San Francesco di Paola. Nell’edizione originale Liszt riporta i testi a cui si è ispirato, tratti rispettivamente dai Fioretti di San Francesco d’Assisi e dalla Vita di San Francesco di Paola descritta da Giusepe Miscimarra. Si tratta quindi ancora di un omaggio all’Italia, questa volta focalizzato sull’aspetto mistico e spirituale della nostra tradizione cristiana. La prima Leggenda, St. François d’Assise: La prédication aux oiseaux, riflette l’approccio serafico e la fede incrollabile di San Francesco, in un dialogo armonioso e mistico con gli uccelli. Il loro canto è riprodotto al pianoforte con figurazioni nel registro sovracuto, che lasciano presagire le conquiste timbriche di Ravel e Messiaen. St. François de Paule marchant sur les flots racconta invece il miracolo del Santo che attraversò lo stretto di Messina a piedi, approdando indenne in Sicilia nonostante le condizioni avverse. Liszt rende appieno sia la serena energia spirituale di San Francesco, sia la sconvolgente forza del mare in tempesta, con sonorità materiche che sfruttano in particolare le risonanze del registro grave.

 

L’Ave Maria “Die Glocken von Rom” (Le campane di Roma) è stata composta a Roma nel 1862. Il motivo introduttivo di cinque note è molto simile a quello che apre Sposalizio, anch’esso, non a caso, dedicato alla Vergine. Il suono delle campane è evocato dapprima in echi lontani nei bassi in pianissimo, poi in rintocchi sempre più fragorosi fino all’appassionato tripudio conclusivo, espressione di una vissuta e sincera devozione. 

 

 

Sonetto 47 del Petrarca

 

Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese, e l'anno,

E la stagione, e 'l tempo, e l'ora, e 'l punto

E 'l bel paese e 'l loco, ov'io fui giunto

Da'duo begli occhi che legato m'ànno;

 

E benedetto il primo dolce affanno

Ch'i' ebbi ad esser con Amor congiunto,

E l'arco e la saette ond' i' fui punto,

E le piaghe, ch'infino al cor mi vanno.

 

Benedette le voci tante, ch'io

Chiamando il nome di Laura ho sparte,

E i sospiri e le lagrime e 'l desio.

 

E benedette sian tutte le carte

Ov'io fama le acquisto, e il pensier mio,

Ch'è sol di lei, si ch'altra non v'ha parte.

 

Sonetto 104 del Petrarca

 

Pace non trovo, e non ho da far guerra,

E temo, e spero, ed ardo, e son un ghiaccio:

E volo sopra 'l cielo, e giaccio in terra;

E nulla stringo, e tutto 'l mondo abbraccio.

 

Tal m'ha in priggion, che non m'apre, né serra,

Né per suo mi ritien, né scioglie il laccio,

E non m'uccide Amor, e non mi sferra;

Né mi vuol vivo, né mi trahe d'impaccio.

 

Veggio senz'occhi; e non ho lingua e grido;

E bramo di perir, e cheggio aita;

Ed ho in odio me stesso, ed amo altrui:

 

Pascomi di dolor; piangendo rido;

Egualmente mi spiace morte e vita.

In questo stato son, Donna, per Vui.

 

Sonetto 123 del Petrarca

 

I' vidi in terra angelici costumi,

E celesti bellezze al mondo sole;

Tal che di rimembrar mi giova, e dole:

Che quant'io miro, par sogni, ombre, e fumi.

 

E vidi lagrimar que' duo bei lumi,

Ch'han fatto mille volte invidia al sole;

Ed udì' sospirando dir parole

Che farian gir i monti, e stare i fiumi.

 

Amor! senno! valor, pietate, e doglia

Facean piangendo un più dolce concento

D'ogni altro, che nel mondo udir si soglia.

 

Ed era 'l cielo all'armonia s'intento

Che non si vedea in ramo mover foglia.

Tanta dolcezza avea pien l'aer e 'l vento.

1. San Francesco d’ Assisi: La predicazione agli uccelli

 

dai Fioretti di San Francesco, capitolo XVI:

 

E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su’ quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli; di che santo Francesco si maravigliò e disse a’ compagni: «Voi m’aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli». E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch’erano in terra; e subitamente quelli ch’erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare, e poi anche non si partivano infino a tanto ch’egli die’ loro la benedizione sua. E secondo che recitò poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando santo Francesco fra loro, toccandole colla cappa, nessuna perciò si movea. La sustanza della predica di santo Francesco fu questa: «Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo il dovete laudare, imperò che v’ha dato la libertà di volare in ogni luogo; anche v’ha dato il vestimento duplicato e triplicato; appresso, perché elli riserbò il seme di voi in nell’arca di Noè, acciò che la spezie vostra non venisse meno nel mondo; ancora gli siete tenute per lo elemento dell’aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per vostro bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio, e gli alberi alti per fare li vostri nidi. E con ciò sia cosa che voi non sappiate filare né cucire, Iddio vi veste, voi e’ vostri figliuoli. Onde molto v’ama il vostro Creatore, poi ch’egli vi dà tanti benefici, e però guardatevi, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, e sempre vi studiate di lodare Iddio». Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quelli uccelli cominciarono ad aprire i becchi e distendere i colli e aprire l’alie e riverentemente inchinare li capi infino in terra, e con atti e con canti dimostrare che ‘l padre santo dava loro grandissimo diletto. E santo Francesco con loro insieme si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta moltitudine d’uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e famigliarità; per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il Creatore. Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della Croce e die’ loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la Croce ch’avea fatta loro santo Francesco si divisono in quattro partì; e l’una parte volò inverso l’oriente e l'altra parte verso occidente, e l'altra parte verso lo meriggio, e la quarta parte verso l'aquilone, e ciascuna schiera n’andava cantando maravigliosi canti; in questo significando che come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della Croce, secondo il quale egli si divisono in quattro partì del mondo; così la predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo Francesco si dovea per lui e per li suoi frati portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che gli uccelli, non possedendo nessuna cosa propria in questo mondo, alla sola provvidenza di Dio commettono la lor vita.

 

2. San Francesco da Paola cammina sulle acque

 

da “Vita di San Francesco di Paolo descritta da Giuseppe Miscimarra”, capitolo XXXV:

 

Giunti in fine a vista del Faro di Messina e poi in quella parte del lido della Catona, trovò quivi una barca che portava in Sicilia doghe per botti. Presentatosi con i due compagni al padrone chiamato Pietro Coloso, dissegli «per carità fratello portateci nell'isola su la vostra barca» e quegli ignorando la santità di chi lo pregava, gli chiese il nolo. E poiché rispos’egli di non averlo, quegli soggiunse di non aver barca per condurli. Presenti alla negativa quelli di Arena che aveano accompagnato il Santo, pregarono il padrone che imbarcasse que’ poveri frati e di essere nella certezza che un di quelli era un santo. E s’è santo quegli, rispose con massima inciviltà, che cammini su le acque e che faccia miracoli; e partito li lasciò sul lido. Senza turbarsi il Santo del tratto incivile di quel gonzo marinaro, perché rincorato dal divino spirito che sempre lo assisteva, si dissociò per poco da’ compagni ed invocò con preghiere il divino aiuto in quel rincontro. Indi tornato a’ compagni, disse loro: «figliuoli allegramente; con la grazia di Dio abbiamo un naviglio migliore per passare», ma fra Giovanni innocente e semplice alcun legno non vedendo, con quale barca disse, Padre, noi passeremo, se quella è partita? Ci ha provvisti il Signore, egli rispose, di altro buon naviglio più sicuro su questo nostro mantello che stava per distendere sul mare. Sorrise fra Giovanni (perocché il p. Paolo come prudente non aveva difficoltà del miracolo che il Santo gli significava) e con la sua solita semplicità disse, passiamo almeno sul mantello mio che ci sosterrà meglio perchè nuovo e non rattoppato come il vostro. In fine disteso il mantello suo il nostro Santo su le acque, le benedisse in nome di Dio, e poi alzata una parte del medesimo mantello, come vela bassa che veniva sostenuta dal suo bastone come albero, montò con i suoi compagni su quel prodigioso palischermo, e fece vela con istupore di quelli di Arena, che guardando dal lido come velocemente percorreva le acque, gridavano piangendo e battevan le mani, come anco i marinari del naviglio con l'ingrato padrone che chiedendogli perdono della negativa, lo invitava a salir sul legno: ma Dio che a glorificazione del suo santo nome voleva manifestare di aver sottoposto all'impero del nostro Santo la terra e il fuoco non solo, ma anche le acque, gli fece disprezzare gl’inviti, e lo fece giugnere al porto prima del naviglio indicato.

 


[1] Dalla prefazione al primo volume di Années de Pèlerinage.