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Mendelssohn: Piano con Fuoco - Sonatas, Fantasias, Capriccios (CD Decca, 2012)

Nelle partiture pianistiche di Mendelssohn sovente capita di leggere l’indicazione, decisamente insolita, piano con fuoco. Contrariamente alle più comuni locuzioni, come piano dolce o piano espressivo, la prescrizione con fuoco sembra quasi contraddire l’atteggiamento espressivo tipico dei passaggi in piano. In molti brani presenti in questa incisione, tuttavia, emerge proprio il fascino della particolare commistione di sonorità soffuse con una serpeggiante, a tratti elettrica tensione musicale, che rende il pianismo mendelssohniano così unico e diverso dai contemporanei esempi di Schumann, Chopin e Liszt. Ciò è evidente proprio nei passaggi piano con fuoco nella Fantasia op. 28 (terzo movimento, 5.16), nella Sonata op. 6 (quarto movimento, 3.33), nel Capriccio op. 33 n. 1 (2.42) e nelle Fantaisies ou Caprices op. 16 n. 1 (2.20) e n. 2 (1.01): brani costantemente attraversati da questa speciale energia che coniuga leggerezza e forza propulsiva. Ma in ogni composizione presente in questo album è possibile cogliere momenti in cui l’idea del piano con fuoco affiora, anche se non esplicitamente indicata. Del resto una caratteristica ricorrente della produzione pianistica di Mendelssohn è proprio quella particolare vitalità ritmica che si sprigiona, però, quasi con pudicizia, e che affiora con maggiore pregnanza proprio nei passaggi in piano. Mendelssohn era notoriamente un grande virtuoso della tastiera, tuttavia poco incline alle più rivoluzionarie innovazioni tecniche di Liszt e Chopin, e invece più volto alla ricerca di una perfetta trasparenza della trama contrappuntistica. Questo aspetto rende l’interpretazione della sua musica particolarmente stimolante, ma anche delicata: basta poco per farla suonare impropriamente accademica (con tempi non sufficientemente con fuoco o con accentuazioni non abbastanza variate) oppure, al contrario, troppo pesante o carica di sentimentalismo, se si trascurano la chiarezza delle linee e la leggerezza del tocco prescritte con precisione dalle indicazioni dinamiche e di articolazione.

 

Questo doppio CD comprende tutte le Fantasie, Capricci e Sonate per pianoforte composte da Mendelssohn, con l’esclusione dei brani riscoperti pochi anni fa e già inclusi nei precedenti CD “Mendelssohn Discoveries” e “Mendelssohn Rarities”. Tuttavia si può quasi parlare di “discoveries” anche nel caso di molti dei presenti brani, visto che, pur pubblicati oltre un secolo fa, sono ancora oggi praticamente assenti dal repertorio concertistico e discografico.

 

Mendelssohn ha pubblicato solo due Sonate durante la sua vita: l’op. 6 in mi maggiore (1826) e l’op. 28 in fa diesis minore, intitolata Sonate écoissaise nella prima versione del 1830, ma poi data alle stampe nel 1833 con il titolo di Fantasia. Si tratta di due tra i più alti risultati della sua produzione pianistica, che mostrano come egli sapesse coniugare un estremo dominio delle forme classiche con una concezione personale e innovativa dello sviluppo tematico. La Fantasia op. 28 è, in effetti, una vera e propria sonata, in quanto sia il primo che terzo movimento sono strutturati secondo la forma sonata classica, e il secondo movimento è uno Scherzo che rimanda agli analoghi esempi nelle Sonate beethoveniane. Tuttavia, qui Mendelssohn raggiunge un alto grado di originalità nel trattamento della forma sonata, soprattutto nel primo movimento, in cui gli inquieti arpeggi iniziali danno un tono quasi improvvisatorio, che culmina nelle magmatiche esplosioni dinamiche della sezione centrale. Il tema principale è un canto desolato e arcaico, dal fascino vagamente ossianico, forse derivato al patrimonio tradizionale scozzese che Mendelssohn aveva conosciuto durante il suo viaggio in Scozia del 1829. Il clima inquieto e drammatico di questo movimento contrasta con la leggiadra  vitalità ritmica del successivo Scherzo, caratterizzato da continue accentuazioni sui tempi deboli che conferiscono un tono a tratti umoristico. L’ultimo movimento, un turbinoso Presto con fuoco, è un vortice di incessante tensione alimentata da uno stringente rigore contrappuntistico. La Fantasia op. 28 va annoverata tra i lavori più sconvolgenti e radicali dell’intero repertorio pianistico romantico e sfata ancora una volta il luogo comune di origine wagneriana che vede in Mendelssohn un compositore incapace di raggiungere profondi abissi drammatici.

 

La Sonata op. 6 (1826), di carattere più lirico, rappresenta un esempio mirabile del sonatismo mendelssohniano, per senso delle proporzioni, originalità stilistica e innovazione formale. Alcune soluzioni armoniche e tematiche derivano esplicitamente dalla Sonata op. 101 di Beethoven, come emerge nel breve e lirico primo movimento, pervaso da una squisita, naturale cantabilità. Il secondo movimento, uno stregato Minuetto in fa diesis minore (tonalità che spesso Mendelssohn associa ad atmosfere inquiete o cupe), rappresenta un capolavoro di ambientazione poetica, evocando un clima incantato che anticipa il Sogno di una Notte di Mezza Estate. Il seguente Adagio senza tempo è un Recitativo, anch’esso di chiara ascendenza beethoveniana, che integra il severo rigore contrappuntistico con un’espressione declamatoria di grande forza drammatica. Esso conduce direttamente al Finale, animato da una notevole energia propulsiva. Nella conclusiva Coda riappare il tema del primo movimento, dando una coerenza ciclica all’intera Sonata.

 

Anche la Sonata op. 106 in si bemolle maggiore (1827, pubblicata nel 1868) è costruita su un modello beethoveniano: la grande Sonata Hammerklavier op. 106. Il numero d’opera 106 è stato assegnato da Julius Rietz forse proprio per evidenziare tale riferimento. Non si tratta, tuttavia, di un mero esercizio di stile, in quanto questa Sonata mostra alcuni tratti peculiari dello stile mendelssohniano, specie nella conclusione del primo e del quarto movimento, entrambe sfumate in pianissimo, e nel secondo movimento, uno Scherzo in si bemolle minore dalla tipica scrittura “elfica”, animato da quella pulviscolare leggerezza che solo Mendelssohn sa ottenere. Come nella Sonata op. 6, anche qui il terzo movimento, con una cantabilità spiegata e nobile, al livello dei più riusciti Lieder ohne Worte, confluisce senza soluzione di continuità nel quarto movimento, un Allegro Moderato dalle tinte pastello e privo di forti contrasti. La concezione ciclica è testimoniata dal riapparire al suo interno di un frammento dello Scherzo, senza alcuna preparazione, e dunque in modo sorprendente: quasi come un riflusso della memoria.

 

La Sonata op. 105 è stata composta nel 1821 (ma pubblicata nel 1868) e mostra come già a dodici anni Mendelssohn fosse straordinariamente maturo e in grado di gestire le strutture musicali classiche con estrema naturalezza. Il primo movimento è in forma sonata monotematica e si innerva su un motivo basato su intervalli di semitono, ripetuto innumerevoli volte in un rigoroso e ardito contrappunto. Più originale e ispirato è il secondo movimento, un Adagio incantato e statico, tra i migliori esiti poetici del Mendelssohn fanciullo. Il Finale torna alla polifonia tortuosa del primo movimento, con una scrittura che potrebbe già essere definita piano con fuoco.

 

Il manoscritto della Sonata in si bemolle minore (1823) è attualmente conservato presso la Brotherton Collection dell’Università di Leeds ed è stato pubblicato per la prima volta solo nel 1981 dalle Edizioni Peters. Si tratta di un singolo movimento composto da un’introduzione lenta e un successivo Allegro non troppo, articolato in una forma sonata monotematica. Il linguaggio segna un significativo passo avanti rispetto alla Sonata op. 105, presentando ora una maggiore varietà di atteggiamenti emotivi, grazie ad un uso più originale e ardito delle armonie.

 

Mendelssohn coltivò la forma sonata anche in numerose altre composizioni pianistiche, come molti dei Capricci e delle Fantasie, in cui, libero dai vincoli stretti della sonata tradizionale, era forse più a suo agio nello sviluppo dell’invenzione tematica. Il Rondò Capriccioso op. 14, ultimato a Monaco nel 1830, è tra i più popolari brani di Mendelssohn, grazie al puro lirismo dell’introduzione lenta e al virtuosismo leggero e vaporoso del successivo Presto. Il tema principale, dal carattere tipicamente elfico, è replicato in canone nelle quattro voci e ricorda da vicino la quasi coeva Ouverture del Sogno di una Notte di Mezza Estate.

 

La Fantasia op. 15 (1830) è basata su una canzone tradizionale irlandese, The Last Rose of Summer: essa viene interamente citata in apertura, nello stile di un Lied ohne Worte. Il carattere sereno e quasi serafico del tema (che tornerà tre volte durante la composizione) viene subito smentito dalle inquiete e a tratti farraginose elaborazioni di Mendelssohn, sin dall’arpeggio in mi minore che precede il tema stesso.

 

Le tre Fantaisies ou Caprices op. 16 furono composte in Inghilterra nel 1829 e dedicate alle tre giovani sorelle Taylor, presso cui Mendelssohn fu ospite durante una breve vacanza nel Lake District. A Mendelssohn non piaceva esternare troppo esplicitamente eventuali fonti ispiratrici della sua musica, tuttavia in questo caso conosciamo i dettagli del suo intento descrittivo, che vale la pena di ricordare. La prima Fantasia, in la minore/maggiore, è dedicata a Ann Taylor e traduce in musica un bouquet floreale di garofani con una rosa nel mezzo, che Ann avrebbe offerto a Felix. L’inizio in la minore, che tanto ricorda l’inizio della coeva Sinfonia Scozzese, potrebbe forse evocare il profumo del bouquet attraverso l’arpeggio in pianissimo con accordi di settima diminuita (0.41). La seconda Fantasia è un tipico scherzo “elfico” in mi minore, ispirato dalle tecome gialle che Honoria Taylor portava tra i capelli. La terza Fantasia, dal carattere più calmo e idilliaco, è ispirata ad un ruscelletto di montagna che Felix e Susan Taylor attraversarono durante una passeggiata a cavallo.

 

I Trois Caprices op. 33 (1833-35) sono tra i maggiori lavori pianistici di Mendelssohn. Tutti e tre presentano una struttura a dittico, con un movimento rapido in forma sonata preceduto da un’introduzione lenta. Robert Schumann, nel recensire i Trois Caprices, riuscì a coglierne perfettamente i caratteri peculiari: nel primo «attraversiamo un dolore leggero, che pretende e riceve sollievo dalla musica nella quale è immerso»; il secondo «è opera di qualche genio scivolato furtivamente sulla terra. Nessuna sovraeccitazione, nessun baccanale, nessuna apparizione di spettri o fate. Qui si cammina sulla terraferma, su un suolo fiorito, tedesco». Nel terzo «si nota una furia innominata, concentrata, che si placa a mano a mano, impercettibilmente, fino al termine del pezzo, quando finalmente scoppia di gioia». Il linguaggio pianistico è qui particolarmente impegnativo e sfrutta vari espedienti tipici della tecnica biedermeier, come l’accompagnamento in arpeggi con la melodia che transita tra le due mani (nel secondo) e le ottave spezzate o alternate (nel terzo),  di grande efficacia virtuosistica.  

 

Il brevissimo Scherzo in si minore è un brano d’occasione composto a Londra nel 1829, con chiare allusioni al Sogno di una Notte di Mezza Estate, riscontrabili nell’alternanza tra modo maggiore e minore e nell’atmosfera elfica, ottenuta con una scrittura che alterna figurazioni staccate in entrambe le mani, similmente a quella del Capriccio op. 33 n. 3.

 

Si ritrova un’analoga ambientazione nello Scherzo à Capriccio in fa diesis minore (1835), caratterizzato, però, da una maggiore intensità drammatica che rimanda alle inquietudini della Fantasia op. 28.

 

Il Capriccio op. 5 (1825), anch’esso in fa diesis minore, è il primo lavoro per pianoforte solo pubblicato da Mendelssohn. Presenta una scrittura rigorosamente contrappuntistica, che, come Gioacchino Rossini notò, ricorda il virtuosismo asciutto delle Sonate di Scarlatti. Questa osservazione – forse più una critica che un complimento – sottolinea la trasparenza contrappuntistica della scrittura, che nella sezione centrale presenta il secondo tema anche nella sua versione inversa. Mendelssohn avrebbe successivamente definito questo lavoro giovanile una “absurdité”; tuttavia esso mantiene un certo fascino per la costante energia cinetica che lo attraversa, costituendo uno dei primi esempi di piano con fuoco

 

Il Capriccio op. 118 in mi maggiore (1837) è invece un’opera matura, che riprende le movenze stilistiche del Rondò Capriccioso, riproponendone la struttura a dittico, con un’introduzione lenta in mi maggiore e una parte rapida in forma sonata. L’uso dei registri pianistici è chiaramente sinfonico e consente un’efficace gestione della tensione musicale, fino alla turbinosa conclusione.

 

Roberto Prosseda