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Ravel: Piano Masterworks (CD Arts di Alessandra Ammara, 2013)

Questo CD raccoglie alcuni dei principali lavori pianistici di Maurice Ravel e costituisce il primo disco dell’integrale pianistica raveliana che Alessandra Ammara ha intrapreso per l’etichetta Arts.

Senza dubbio Ravel è stato un indiscusso protagonista del repertorio pianistico del Novecento, segnando innovazioni strumentali e stilistiche che hanno profondamente condizionato i compositori contemporanei e delle generazioni successive. Anche il suo rapporto con il linguaggio pianistico è peculiare e mai scontato, richiedendo all’interprete una grande perizia tecnica e un perfetto controllo delle sonorità.

La prima composizione pianistica di Ravel di cui oggi rimane traccia è la Sérénade Grotesque (1892-93, ma pubblicata postuma), che già lascia presagire la proverbiale disincantata ironia del compositore, evidente nelle sonorità secche e asprigne degli accordi staccati e nelle dissonanze che esaltano il sarcasmo dell’approccio espressivo.

Jeux d’eau (1901) costituisce una sorta di manifesto dello stile pianistico di Ravel. La scrittura è qui già rivoluzionaria, integrando la trasparenza degli esempi tastieristici settecenteschi di Scarlatti e Rameau con l’invenzione timbrica derivata dal recente lascito di Franz Liszt. Evidente è in particolare il debito con Jeux d’eau à la Villa d’Este di Liszt, a cui Ravel attinge per alcune soluzioni pianistiche che ben si addicono alla zampillante e “acquatica” ambientazione sonora. Lo stesso Ravel scrive: «Jeux d’eau è all’origine delle innovazioni pianistiche che si possono riscontrare nella mia opera. Questo brano, ispirato dal rumore dell’acqua e dai suoni musicali che derivano dagli zampilli, le cascate e i ruscelli, è basato su due temi, come nella forma Sonata, senza, però, rispettare il tradizionale impianto tonale».

La Sonatine (1903-05) è un altro piccolo capolavoro e brano inconfondibilmente raveliano, sin dalle prime note, per la concisa perfezione formale e l’equilibrato mélange di rigorosa linearità e complessa scrittura armonica e polifonica. È strutturata in tre brevi movimenti: Modéré, Mouvement de Menuet, Animé. Il primo fu concepito così breve per un concorso indetto da una rivista francese, aperto ai compositori che scrivessero un tempo di Sonata in meno di cento battute. Ravel fu l’unico partecipante, ma fu anche squalificato perché la sua Sonatine comunque superava (di poco) le cento battute. Il Menuet e il Finale aderiscono ad istanze quasi neoclassiche per la trasparenza e il rigore della struttura ritmica, rimandando esplicitamente ad esempi della musica barocca. Il Finale è in effetti una sorta di Toccata cembalistica, seppur rivestita di un complesso ordito politonale e poliritmico.

Miroirs (1904-05) riflette sin dal titolo l’estetica quasi simbolista di Ravel: l’occhio (e l’orecchio) non percepiscono le immagini direttamente, ma le vedono riflesse attraverso altre cose. I cinque brani che compongono Miroirs sono tutti di profonda ispirazione e disegnano cinque paesaggi sonori diversi e ben caratterizzati. Sono dedicati a cinque artisti appartenenti al gruppo degli Apaches, un movimento parigino di intellettuali spinti da uno spirito innovatore, di cui anche Ravel faceva parte. Noctuelles è dedicato al poeta Léon-Paul Fargue, il quale vide in questo brano l’evocazione di farfalle notturne che passano da un granaio all’altro. In effetti, la notte è qui raccontata nei suoi risvolti più misteriosi e intangibili. Oiseaux tristes, dedicato al pianista Ricardo Viñes, è però il meno “pianistico” dei Miroirs. Il canto triste di uccelli è riprodotto quasi letteralmente, anticipando quella sorta di ornitologia musicale che alcuni decenni dopo avrebbe realizzato più in modo più scientifico e sistematico Oliver Messiaen. L’autore asserì: «in questo brano evoco uccelli persi nel torpore di una foresta triste, nelle ore più calde di una giornata estiva». Une barque sur l’ocean è ancora focalizzato sull’elemento acquatico, su cui già Ravel aveva dato un poetico saggio con Jeux d’eau. Qui l’acqua non è più zampillante, bensì morbidamente ondosa. Gli arpeggi della mano sinistra creano un letto sonoro sul quale si staglia il canto della destra, dolce e ambiguo per via delle armonie complesse che Ravel adotta. L’Alborada del gracioso è uno dei brani tecnicamente più impegnativi dell’intera produzione raveliana. Ci riporta in Spagna, con la rievocazione di una Seguidilla, danza accompagnata da chitarre e tamburi. In contrasto con gli altri brani di Miroirs, qui Ravel crea una sonorità secca e pungente, trovando trasparenze polifoniche che, come lui stesso ha notato, rimandano alle Fughe di Bach. È il brano più popolare dei Miroirs, anche in virtù della travolgente energia ritmica e dell’estremo virtuosismo, che comprende arditi glissandi doppi per intervalli di terza e quarta. La vallée des cloches indaga il peculiare mondo sonoro della campane, che qui si specchiano in una vallata. Ravel è particolarmente a suo agio con questo tipo di ambientazione timbrica, e gioca sapientemente con le risonanze del pianoforte.

Gaspard de la nuit (1908) è un trittico basato su versi del poeta Aloysius Bertrand, tratti dalla sua raccolta di poesie Histoires vermoulues et poudreuses du Moyen Age. È unanimemente considerato uno dei lavori più difficili e complessi dell’intero repertorio pianistico. Ravel qui sviluppa ulteriormente le soluzioni tecniche già elaborate in Miroirs, toccando vette di invenzione timbrica e varietà di articolazione che resteranno un riferimento per tutti i compositori che scriveranno per pianoforte dopo di lui. Ondine rievoca il canto seducente e misterioso della ninfa Ondina, già ispiratrice dell’omonimo Prélude di Debussy. La presenza magica e incantata dell’elemento acquatico è resa con un fitto e costante moto di accordi ribattuti, inizialmente in pianissimo nella mano destra. A questo si sovrappone il canto della ninfa, sensuale, flessuoso e ambiguo, che si muove in accensioni dinamiche alternate ad incantate sospensioni. Le gibet indaga le atmosfere più statiche e “horror” di un patibolo, con un corpo impiccato illuminato dal sole del tramonto. Il senso di fatalità è dato da un ossessivo e ansiogeno si bemolle, ripetuto più di centocinquanta volte nell’arco del brano. Le armonie per quarte e quinte creano un effetto di oggettivo “vuoto interiore”, contribuendo ad aumentare la tensione drammatica. Scarbo è un folletto dispettoso e imprevedibile. La sua volatile malignità è espressa con difficili successioni di note ribattute, animate da repentini crescendi e sparizioni. Ravel dichiarò che con Scarbo voleva scrivere un brano ancor più difficile di Islamey di Balakiriev. Senza dubbio, ci è riuscito.

La scrittura per pianoforte Ravel si distingue, sin dalle prime opere, per una peculiare tendenza alla perfezione “da orologiaio svizzero”, come ebbe a dire acutamente Igor Stravinsky. Questa sua ricerca di precisione assoluta andrebbe a discapito, secondo i suoi detrattori, dell’abbandono e della sensualità: ma così non è. Al contrario, dietro un’apparente freddezza si cela uno sguardo nostalgico e cinico al tempo stesso verso la caducità delle cose terrene. In ogni caso, Ravel è il compositore francese i cui diritti editoriali hanno fruttato di più, e ciò la dice lunga sul successo e il consenso che la sua musica ha riscosso fino ad oggi.

 

Roberto Prosseda