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La formazione professionale di un musicista è cosa serissima e delicata, ma ricca di stimoli e gratificazioni. Il rapporto che si crea tra docente e allievo è spesso molto profondo: coinvolge la nostra consapevolezza emotiva e la capacità di riconoscere, esprimere e condividere stati d'animo, al pari degli attori. Come gli attori e gli atleti, i musicisti che studiano per diventare professionisti devono assumere un perfetto controllo dei loro mezzi fisici (muscolatura, respirazione, sensibilità tattile), che richiede continua dedizione e disciplina. Visto in tal senso, lo studio serio della musica porta ad una crescita su diversi livelli, e fornisce allo studente i mezzi per gestire il rapporto con gli altri, l'ascolto interno ed esterno, il controllo delle emozioni e dell'ansia; tutte abilità e conoscenze che giovano in tanti aspetti della vita quotidiana.
Dove si impara a diventare musicisti professionisti, in Italia? In ambito pubblico, le istituzioni statali atte all'alta formazione musicale sono i Conservatori e gli ex Istituti Musicali Pareggiati, oggi definiti "Istituti Superiori di Studi Musicali". La riforma prevista dalla legge 508 del 1999 prescrive che vi si possa accedere solo dopo il diploma di maturità. Ma a 18 anni o si è già musicisti formati, o è certamente troppo tardi per cominciare. Oggi nei Conservatori troviamo bambini di 8 o 9 anni, iscritti ai cosiddetti corsi di base e, per la maggior parte, allievi che frequentano le scuole medie o superiori, iscritti ai corsi cosiddetti "preaccademici". Ciò è la naturale conseguenza di una riforma che è stata attuata solo sulla carta, senza predisporre un percorso di formazione dei giovanissimi musicisti, che oggi è ancora effettuato dai Conservatori, ma dovrebbe essere affidato alle sezioni musicali delle scuole medie e ai Licei Musicali: i quali, però, sono ancora troppo poco diffusi, anche a causa della mancanza di fondi da parte del Ministero. La conseguenza è che oggi i Conservatori italiani sono, in molti casi, scuole di musica dove giovani e giovanissimi allievi vengono avviati allo studio di uno strumento.
Nonostante l'equiparazione teorica dei Conservatori alle Università, anche gli stipendi e i metodi di reclutamento e di gestione dei docenti sono molto più simili a quelli delle scuole primarie e secondarie, come conferma la recente tendenza a non considerare i titoli artistici per la selezione degli insegnanti: la nuova graduatoria per gli incarichi a tempo determinato, bandita dal Ministro dell'Istruzione Stefania Giannini il 30 giugno scorso, mette in fila i docenti esclusivamente conteggiando i loro titoli di studio e gli anni di servizio (che devono essere almeno tre: chi scrive rientra in questa graduatoria, ma molti illustri musicisti ne sono ingiustamente esclusi), senza considerare minimamente la loro attività artistica o tanto meno i risultati del loro servizio. È pur vero che non basta saper suonare per saper insegnare, ma, appunto per questo, sarebbe auspicabile una selezione dei docenti basata su concorsi per esami, in cui si dia prova tangibile delle capacità didattiche, professionali e di relazione. Ciò avviene, del resto, in tutte le Musikhochschule tedesche, dove per ogni cattedra vacante viene indetto un concorso in loco in cui la commissione è composta dai docenti dell'Università e da una rappresentanza degli studenti. Il vincitore, dopo un periodo di prova (in cui dimostri di essere persona equilibrata e onesta, in grado di integrarsi con i colleghi e con le regole dell’istituzione), viene assunto a tempo indeterminato e non è previsto che possa trasferirsi in un'altra Università, a meno che non superi un altro concorso nella nuova sede.
In Italia, invece, agli studenti dei Conservatori non è garantito il diritto, sacrosanto, della continuità didattica. E sono molte, troppe, le classi che da anni vengono affidate a docenti supplenti, che spesso si avvicendano loro malgrado, a causa del sistema di trasferimenti, utilizzazioni e incarichi annuali che ogni anno ridistribuisce molti insegnanti in sedi diverse. La naturale conseguenza è che i migliori docenti precari tendono, prima o poi, ad abbandonare l'insegnamento o ad accettare cattedre in prestigiosi Conservatori stranieri, e ciò vale anche per alcuni tra i migliori studenti, che, stanchi di cambiare insegnante ogni anno, optano per lo studio in accademie private o all'estero. Questo si ripercuote nello scarso legame tra i Conservatori italiani e il mondo del lavoro, che rimane spesso un miraggio per la maggior parte degli studenti. Viceversa, molti musicisti professionisti sono esclusi dalla docenza a causa della legge Boniver, che vieta a chi ha un contratto a tempo indeterminato in un'orchestra di insegnare stabilmente nei Conservatori: esattamente il contrario di quanto avveniva a Lipsia nel 1843. Quando, in quell'anno, Felix Mendelssohn fondò il Conservatorio (ora Hochschule für Musik und Theater), pensò di integrarlo con l’orchestra del Gewandhaus, così da agevolare un proficuo scambio reciproco tra formazione e produzione musicale. I migliori strumentisti dell’orchestra insegnavano al Conservatorio, oltre ad altri docenti invitati dallo stesso Mendelssohn, e non certo calcolando i loro anni di servizio. Tra loro, anche Robert e Clara Schumann, Moscheles, Ferdinand David.
Cosa si potrebbe fare oggi per migliorare la situazione e rendere i nostri Conservatori più competitivi a livello internazionale? Certamente tornare a selezionare i docenti con concorsi, come del resto prevede la stessa legge 508 del 1999. Ma l'ultimo concorso risale al 1990. Un concorso unico nazionale risulta oggi, in effetti, di complessa e dispendiosa organizzazione, tanto che finora il Ministero ha preferito rimandarlo, continuando a utilizzare graduatorie e sanatorie. Una soluzione concreta è quella auspicata dalla Conferenza dei Direttori dei Conservatori di Musica, nella lettera che il suo attuale Presidente, Paolo Troncon, ha scritto il 4 luglio scorso al Ministro Giannini: «individuare i docenti sulla base di una verifica delle capacità artistiche, del curriculum artistico, del profilo professionale, di verificate capacità didattiche». I nuovi docenti dovrebbero quindi essere selezionati in loco per concorsi per esami, valutando anche le loro competenze ed esperienze specifiche in relazione alle esigenze delle singole Istituzioni. A queste parole fa eco la dichiarazione di Tommaso Donatucci, presidente della Consulta Nazionale degli Studenti dei Conservatori: «Il Conservatorio è degli studenti e per gli studenti; si rende quindi necessario un corpo docente preparato, selezionato con concorsi interni al Conservatorio e non tramite graduatorie ventennali; è inoltre necessario che i corsi accademici garantiscano un livello di uscita utile al mondo del lavoro, sia didattico che musicale». Proprio il diritto degli studenti ad avere un'offerta didattica basata sull'eccellenza e su un più diretto rapporto con il mondo del lavoro dovrebbe essere il principio fondante per le prossime decisioni sulla formazione musicale in Italia. Ai 49.000 studenti dei Conservatori, del resto, è affidato il futuro della musica e della nostra identità culturale.
Roberto Prosseda