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MENDELSSOHN DISCOVERIES
La produzione di Felix Mendelssohn, caso raro per un grande compositore del Romanticismo tedesco, non è stata ancora oggetto di una catalogazione scientificamente curata. Per quanto riguarda la musica per pianoforte solo, oltre ai brani raccolti nella sedicente "Edizione Completa" pubblicata dalla Breitkopf tra il 1874 e il 1877 a cura di Julius Rietz, esistono, infatti, molte altre composizioni ancora inedite o ineseguite. Una ragione di ciò è legata all'eccezionale prolificità della vena creativa dell'autore, il quale – diversamente da molti suoi illustri colleghi, tra cui Brahms – non si curò particolarmente dell'archiviazione e della conservazione dei suoi manoscritti. Ma anche l’ostilità antisemitica di cui Mendelssohn è stato vittima, prima da parte di Wagner (suo il disdicevole saggio “Il Giudaismo in Musica”) e poi soprattutto durante il Nazismo, quando la sua musica fu bandita in Germania, ha certamente contribuito a lasciare nell’oblio una parte cospicua della produzione di questo grande e tuttora sottovalutato compositore. Non stupisce, dunque, che ancora oggi possano emergere nuovi autografi di cui fino a ieri si ignorava l'esistenza. Negli anni recenti alcuni di essi sono stati pubblicati grazie allo sforzo encomiabile di piccoli editori (Weinberger di Londra, Boccaccini e Spada di Roma), ma la Breitkopf ha già progettato un’ambiziosa Leipzig Mendelssohn Ausgabe, che entro il 2047 dovrebbe dare alle stampe tutte le composizioni di Mendelssohn, in una nuova, realmente completa, edizione critica. In questo articolo passerò in rassegna alcuni dei più interessanti brani pianistici di Mendelssohn che io stesso ho avuto l’onore di presentare per la prima volta al pubblico di oggi, e di inciderli nel recente cd “Mendelssohn Discoveries” (Decca 4763038), comprendente 78 minuti di musiche pianistiche mai registrate prima. Lavorare direttamente sui manoscritti è stata un’esperienza davvero particolare, poiché la scrittura a mano di Mendelssohn è molto eloquente, e trasmette una ricchezza di sensazioni difficile da spiegare a parole. La grafia è generalmente molto piccola, sottile e precisa. Le cancellature sono rare, anche se in alcuni brani giovanili (specie nella Fantasia) vi sono interi periodi di otto o più battute cancellati con croci, le quali peraltro lasciano leggere perfettamente le note scritte. Ritengo che in alcuni casi si tratti di correzioni effettuate dal mestro di Mendelssohn, e generalmente la parte cancellata è di tale bellezza che merita di essere suonata. Una parte di questi brani sono stati ritrovati per caso in fondi privati. Del resto Mendelssohn, specialmente negli anni della giovinezza, fece molti viaggi, cambiando continuamente residenza e lasciando un dono musicale alle famiglie che lo ospitavano, o semplicemente a persone con cui era entrato in amicizia.
Questo è il caso dell'Adagio e Presto Agitato, composto nel 1833 durante il soggiorno londinese e dedicato a Mary Alexander, che Mendelssohn ebbe modo di frequentare in quel periodo. Il brano è stato recentemente rinvenuto nella "Music Autograph Box"[1] di Mary, alla quale Mendelssohn, associandosi a quanto fecero la sorella Fanny, Moscheles, Hummel, Pixis, ed altri celebri compositori del tempo, dedicò questo dittico. L'Adagio introduttivo presenta molte delle caratteristiche del Mendelssohn più maturo, individuabili nel lirismo intimo e passionale, nell'originalità dei cromatismi armonici, nella naturalezza ed efficacia del gesto strumentale. Il Presto Agitato, preparato da un'intensa perorazione su un'armonia di nona di dominante, ha un carattere molto più incisivo, e si dipana attraverso un incessante moto di semicrome dalla fortissima propulsione ritmica. Da questo Presto deriva la seconda parte del più noto (si fa per dire) Capriccio op. 33 n. 3, scritto, non a caso, nello stesso periodo.
Un altro brano di grande valore è il Capriccio in mi bemolle maggiore / minore, di nove anni anteriore rispetto all’Adagio e Presto Agitato, è ad esso accomunato dalla struttura a dittico, composta da un'introduzione lenta e cantabile in modo maggiore, a cui fa seguito un movimento molto rapido in minore. Nonostante sia stato scritto da un quindicenne, si tratta di un pezzo certamente riuscito, che dimostra come Mendelssohn, già allora prodigioso pianista, sapesse ben attingere alle potenzialità dinamiche e timbriche della tastiera. Naturalmente sono ancora evidenti i prestiti stilistici, soprattutto legati a Beethoven e Clementi, e più direttamente a Ludwig Berger, insegnante di pianoforte di Mendelssohn. Dal 1819 Felix studiava anche composizione con C. F. Zelter, il cui severo metodo didattico, basato su esercizi di contrappunto e fuga, si rispecchia nel rigore della conduzione polifonica. Ciò non toglie, peraltro, che lo strepitoso talento del giovane Mendelssohn traspaia in più punti, specie nell'energica vivacità e nei sorprendenti guizzi dinamici della sezione rapida. Ma anche l'inizio, così assorto e meravigliato, è un segno imprescindibile della statura poetica dell'autore.
L'Andante in re maggiore, composto nel 1826, è una piccola perla di puro lirismo, esemplare per l'integrazione della vena melodica nel rigore polifonico dell'impianto contrappuntistico. Ciò emerge soprattutto nell'episodio centrale, un canone in fa diesis minore di pregnante espressività, che dopo una naturale estinzione nel registro grave lascia risorgere, quasi magicamente, la ripresa dell’Andante.
Si resta in un ambito miniaturistico con la Sonatina in mi maggiore, che Mendelssohn compose all’età di undici anni per il Noten-Album della sorella Fanny. Pur in una struttura semplice e breve, nella Sonatina compaiono elementi di particolare originalità, specie nel corale introduttivo, “Lento”, che con una lunga perorazione di accordi ribattuti conduce, dopo un ampio crescendo, al successivo “Allegro Moderato”. L'esposizione non riserva particolari sorprese, mentre nel succinto sviluppo un'inattesa modulazione alla tonalità di do maggiore ricorda alcune tipiche atmosfere schubertiane. La ripresa, preceduta da un breve ritorno del “Lento” introduttivo, consiste in una versione abbreviata dell'esposizione, e senza indugi porta alla conclusione del movimento, nonché dell'intera Sonatina, essendo questa composta di un unico movimento.
Si passa a musica certamente più conosciuta con i brani tratti dal Sogno di una notte di mezza estate, oggetto (specie lo Scherzo e la Marcia Nuziale) di innumerevoli elaborazioni pianistiche, tra cui quelle di Liszt, Rachmaninoff, Busoni, Horowitz. Tuttavia pochi sanno che anche lo stesso Mendelssohn trascrisse di proprio pugno lo Scherzo, il Notturno e la Marcia Nuziale. La scrittura pianistica del Mendelssohn trascrittore di se stesso consente di capire quale fosse la sua idea dell'impasto orchestrale della partitura. In particolare, risalta la priorità data alla linea portante dello Scherzo, mentre alcune voci secondarie vengono eluse per non oscurare la trasparenza della scansione ritmica. Confrontando questa trascrizione con quella di Rachmaninoff, si nota in Mendelssohn una maggiore snellezza della scrittura, un pianismo basato su un tratto leggero ed agile, laddove Rachmaninoff esalta la ricchezza timbrica della partitura con un maggior uso di ripieni, ottave e doppie terze. Il Notturno è, dei tre brani, forse il più riuscito come trascrizione, e suona come un bellissimo pezzo originale per pianoforte solo, paragonabile alle più belle romanze senza parole. Stupisce la modernità degli svolgimenti armonici, non lontani dalle conquiste brahmsiane e wagneriane. La celeberrima Marcia Nuziale è trascritta con semplicità ed equilibrio strumentale. Certamente la parte pianisticamente più efficace è l'episodio centrale in fa maggiore, con una cantabilità spiegata ed intima al contempo.
La Fantasia in do minore / re maggiore del 1823 è il brano più insolito e sconcertante tra quelli recentemente scoperti. Mendelssohn si cimenta nel genere della Fantasia senza certamente ignorare gli analoghi esempi di Haydn, Mozart, Clementi e Beethoven. Non è escluso che egli già conoscesse la Wanderer-Fantasie di Schubert, ultimata nel novembre 1822 e pubblicata proprio nel 1823. In ogni caso, a soli quattordici anni, il giovanissimo Felix riescì a creare un brano di eccezionale complessità e varietà, molto ambizioso, della durata di quasi mezz'ora: dunque si tratta della sua più lunga composizione per pianoforte solo. Il progetto strutturale di questa Fantasia è incredibilmente moderno: è costituito da tre sezioni principali, ognuna a sua volta divisa in diverse sottosezioni, e tutte collegate senza soluzione di continuità. La prima sezione è la più articolata: si apre con un drammatico “Adagio”, con la figura retorica dell'arpeggio in ottave in do minore (impossibile non pensare, per limitarsi alla letteratura pianistica, alla Sonata K 457 in do minore di Mozart). Intensi silenzi separano il fatale arpeggio (ripetuto subito dopo) da recitativi di chiara ascendenza melodrammatica. Il successivo episodio in mi bemolle maggiore in 6/8, “Più allegro”, conclude su un pedale di dominante che porta al seguente “Allegro” in re maggiore in 4/4, di carattere ritmato e brillante, con numerosi passaggi legati ai modelli virtuosistici del biedermeier. Abbondano ottave e arpeggi rapidi in terzine, che conducono, dopo un lungo crescendo, al ritorno del tema iniziale, a cui farà seguito un nuovo episodio più mosso ed un ulteriore divertimento virtuosistico, sfociante nell’ultimo ritorno del “Adagio” iniziale, ancora in do minore. I recitativi sono ora più sofferti e cupi, e lasciano presagire il clima della sezione successiva. Questa è certamente la parte più riuscita e commovente della Fantasia, e si articola in sei diverse parti: “Adagio” (do minore), “Più mosso” (do maggiore), “Adagio” (do minore / mi bemolle maggiore), “Più mosso” (mi bemolle maggiore), “Adagio” (si maggiore / re minore / do minore), “Più mosso” (do maggiore). I "Piu mosso" sono dei semplici corali di sedici battute e compaiono senza alcuna preparazione, creando un poetico contrasto con la cupezza degli Adagi. In questi ultimi, di geniale introspezione e profondità, risiede il nucleo espressivo del brano. Sembrerebbe la confessione intima di un uomo vissuto, con momenti di straziante struggimento, che a volte sublimano in atmosfere contemplative e visionarie. Difficilmente Mendelssohn nella sua produzione più matura saprà eguagliare una tale ricchezza e varietà di atteggiamenti emotivi. La terza ed ulktima seziuone, introdotta da una breve ripresa dell’Allegro iniziale, consiste in un fugato di carattere severo, quasi bachiano, che cerca di riequilibrare le proporzioni stilistiche della Fantasia, dopo la libertà declamatoria del lungo movimento precedente. Fa seguito un finale, “Presto”: apoteosi conclusiva, in re maggiore, che corona con grande energia virtuosistica questa originalissima composizione: essa rappresenta senza dubbio una delle più eccentriche conquiste del genio di Mendelssohn, che a quattordici anni era a tutti gli effetti già un grande compositore.
[1] L’uso di raccogliere fogli d’album era molto diffuso all’epoca, specie tra le giovani donne, e la stessa Fanny Mendelssohn conservava il suo Noten-Album, a cui Felix contribuì con varie composizioni, tra cui la Sonatina.