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Morricone, Nyman, Vacchi: tre vie diverse nel comporre per il cinema.
Musica e cinema hanno molti elementi in comune: un direttore d'orchestra è, di fatto, il regista della propria interpretazione. Egli gestisce la tensione narrativa nell'esecuzione di una sinfonia, sceglie il colore e il punto di vista da cui mostrare ogni frase, può giocare con la “profondità di campo” tra i temi principali e le parti di accompagnamento (ossia “lo sfondo”), esattamente come farebbe un bravo direttore della fotografia. E, dettaglio non secondario, un vero direttore d'orchestra sa come tirar fuori il meglio da ogni suo musicista: nel caso delle opere liriche, riesce a mettere i cantanti a loro agio e a farli esprimere in modo naturale, eppure confacente alla sua idea interpretativa: proprio come fa un regista nel rapportarsi con gli attori.
Ma anche in mancanza di un'orchestra, cioè nella musica da camera o in quella solistica, l'idea di interpretazione musicale passa sempre attraverso un approccio che potremmo definire “registico”. Quando preparo un recital pianistico, la mia principale priorità è proprio la gestione chiara e convincente della tensione drammatica, di una linea narrativa (a volte anche più linee sovrapposte) che possa comunicare al meglio l'idea poetica del compositore, arrivando dritta al cuore degli ascoltatori. E, in questo, vi sono molti dettagli che vanno curati: non solo nello specifico del suonare, ma anche negli aspetti puramente visuali, come la gestualità e il modo di entrare sul palco, e, fatto non secondario, la gestione dei silenzi e delle pause.
Sin dalla nascita del cinema, la musica è stata un elemento centrale della “settima arte”.
Per capire la sua importanza basta provare a vedere un film eliminando la colonna sonora: i dialoghi risultano vuoti, perdono del tutto la loro tensione narrativa. E le scene non parlate risultano ancora più svuotate di significato. Perché accade ciò? Forse perché la musica è lo specchio attraverso cui ci guardiamo dentro: e, nella visione di un film, è proprio l'ascolto della colonna sonora che ci consente di immergerci negli stati d'animo che il film suscita in noi.
Ho avuto modo di collaborare con diversi compositori per il cinema. Mi piace ricordarne tre in particolare, con cui ho avuto anche occasione di confrontarmi sul rapporto musica-narrazione-immagine: Ennio Morricone, Michael Nyman e Fabio Vacchi. Ennio Morricone è un maestro assoluto nel sottolineare ogni stato emotivo del film attraverso la musica. Ciò gli riesce anche attraverso soluzioni di disarmante semplicità, spesso affidate a timbri insoliti e a strumenti desueti, come l'ocarina o lo scacciapensieri: a conferma che ciò che conta è l'idea a priori che un vero compositore ha, ben prima della stesura della partitura. D'altro canto, Morricone ha sempre posto l'accento sull'importanza dello studio e della continua ricerca. Egli non è certo un compositore istintivo. La classe e l'estrema raffinatezza delle sue orchestrazioni sono il frutto di un costante approfondimento stilistico, che mai si adagia su soluzioni facili, né riprende strade già battute. Purtroppo oggi la musica di Morricone è nota solo per le colonne sonore dei film più celebri, mentre sarebbe da riscoprire il valore e l'originalità di tante altre sue partiture per il cinema, specie quelle in cui il Maestro esplora stili complessi, riprendendo, ad esempio, la dodecafonia o il neoclassicismo di Strawinsky. Dando uno sguardo generale alla produzione di Morricone, colpisce in effetti l'eclettismo con cui egli alterna melodismi romantici (di finissimo livello) con sperimentazioni estreme. Eppure, in ogni colonna sonora di Morricone è sempre riconoscibile un elemento distintivo. Difficile descriverlo con parole. Potremmo forse definirlo “verità”: quella verità pura, con cui ad ogni frase musicale l'ascoltatore percepisce una situazione emotiva, o un pensiero, o una visione, che prende vita con disarmante essenzialità. Parlando con Ennio Morricone, stupisce come egli tenda a separare la sua musica per il cinema dalla sua produzione puramente strumentale, che egli chiama “musica assoluta”. E chi conosce soltanto le sue colonne sonore più orecchiabili (come quella di Mission o Il pianista sull'oceano, per intenderci), potrebbe rimanere spiazzato nello scorgere i profili aguzzi e dissonanti di gran parte della sua “musica assoluta”. Tuttavia, questa apparente divergenza non è altro che il riflesso della vastissima cultura e perizia tecnica dell'autore, il quale, peraltro, anche nella musica applicata non si è sottratto a linguaggi complessi. Non stupisce, quindi, che nel comporre in modo svincolato da un plot narrativo, Morricone possa spaziare ancor più liberamente tra tonalità e atonalità e scandagliare timbri e regioni armoniche ancor più remote.
Lo stesso Morricone, a proposito della (presunta) differenza tra musica assoluta e musica applicata, nota, però, quanto questi due ambiti siano due facce della stessa medaglia. Non fosse per il fatto che buona parte della cosiddetta “musica classica” nasce proprio per musicare situazioni esterne: basti pensare alle Cantate di Bach, concepite per accompagnare la Messa, o alle musiche di scena del Sogno di una notte di mezza estate, che rappresentano la più alta vetta raggiunta da Felix Mendelssohn-Bartholdy. Del resto ogni partitura musicale nasce con una propria idea di narrazione. E, rovesciando il punto di vista, anche il medesimo film può essere musicato da tanti diversi compositori in altrettanti modi. Risulterà, quindi, interessante guardare al linguaggio di altri due importanti compositori per il cinema, per rendersi conto di come possano essere vari gli approcci, pur mantenendo l'eccellenza del risultato.
Michael Nyman, compositore inglese da molti considerato come l'inventore del minimalismo, vive il rapporto con l'elemento filmico in modo del tutto diverso da Morricone. Laddove Morricone sembra fare sgorgare la musica da ciò che accade nel film (in realtà così non è, ma tale è l'impressione che, in genere, la sua musica mi provoca), Nyman agisce in modo opposto. Il suo linguaggio è sempre ancorato ad una forte identità stilistica, sia che egli componga per il cinema, sia che egli scriva partiture indipendenti. L'interscambiabilità delle sue idee musicali è confermata dal fatto che parte della sua musica “transiti” da un ambito all'altro. Ne è un esempio il Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra, intitolato The Piano, che è, infatti, la trasposizione concertistica delle musiche per l'omonimo film di Jane Campion, noto in Italia col titolo di Lezioni di piano. Ho avuto l'opportunità di suonare questo concerto qualche anno fa alla presenza di Nyman, presso il Teatro Bellini di Catania. È stata per me un'esperienza insolita, in quanto gran parte dei musicisti e del pubblico conoscevano perfettamente il film da cui la musica derivava, essendone involontariamente influenzati. Così, anche in assenza di qualsiasi riferimento visivo, sembrava di rivedere alcune scene del film, che nella nostra memoria erano connotate da un determinato inciso melodico o con un certo ritmo caratteristico. Accade, quindi, che l'ascolto di quella musica porti con sé il cinema, anche in assenza di esso. Ciò è possibile solo grazie alla straordinaria forza dell'idea musicale, che, pur nella sua semplicità armonica (o forse proprio grazie ad essa), si integra nella memoria dell'ascoltatore e vi rimane per anni, pronta a riemergere all'ascolto di un motivo da essa derivato. Ciò è quello che è accaduto con l'esecuzione di “The Piano”. Un altro aspetto tipico dell'approccio di Nyman con la composizione per il cinema riguarda la sua continuità stilistica. A differenza di Morricone, Nyman mantiene infatti un linguaggio pressoché costante, anche in film che sono del tutto diversi per tono narrativo e scelte registiche. Ne deriva che la musica di Nyman dona ad ogni film che essa riveste uno “sguardo” tipico, con tinte di disincanto e poetico fatalismo, date anche dalla regolare pulsazione ritmica e dalle multiple sfaccettature metriche della texture musicale di Nyman.
Ancora diverso è l'approccio di Fabio Vacchi alla composizione per il cinema. Vacchi è uno dei compositori italiani più affermati nel nostro tempo, e solo negli ultimi anni si è avvicinato alla scrittura di colonne sonore, grazie al sodalizio artistico che ha stretto con Ermanno Olmi. Ho avuto l'opportunità di prendere parte all'incisione della musica per Centochiodi di Olmi, e in questo caso il rapporto tra musica e idea registica si è invertito: nel senso che parte della musica di Vacchi, come il Trio Orna buio ciel da me eseguito, era preesistente rispetto al film. La composizione della musica per Centochiodi si è quindi sviluppata secondo un processo di riemersione di idee parzialmente già fissate sul pentagramma, e, come conferma lo stesso Vacchi, in un rapporto assolutamente paritetico e di creativa reciprocità con Ermanno Olmi. Mi piace pensare, facendo un passo ulteriore, che proprio alcune atmosfere insite nella musica di Vacchi abbiano suggerito al regista l'ambientazione di alcune scene. Del resto il rapporto causa-effetto tra musica e immagine, tra l'elemento musicale e quello narrativo, è complesso e mobile, e la sua reversibilità è uno degli aspetti più affascinanti del processo creativo di un grande film.
Roberto Prosseda