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ASPETTANDO GOUNOD - PENSIERI SUL PIANO-PEDALIER
Scoprire e presentare al pubblico musiche rare e dimenticate mi ha sempre affascinato. È impagabile l’emozione di suonare per la prima volta in tempi moderni brani scritti uno o due secoli fa da grandi compositori. Ed è altrettanto impagabile scoprire che un manoscritto trascurato o dimenticato contenga musica di grande profondità, rimasta nell’oblio per ragioni indipendenti dalla volontà dell’autore e dai valori intrinseci della partitura. La curiosità di indagare ambiti ancora inesplorati del repertorio pianistico, unita ad una notevole dose di fortuna, mi ha portato a scoprire, oltre a numerosi manoscritti di Mendelssohn, anche un altro singolare inedito: il ‘Concerto in mi bemolle maggiore’ di Gounod (1889). Ho appreso dell’esistenza del Concerto dal volume “Gounod” di Gérard Condé (Fayard, 2009). Tuttavia lo stesso libro lo dà per inedito, informando che il manoscritto si trova in mano ad un anonimo collezionista privato che lo acquistò in un’asta a Parigi nel 1979. Con l’aiuto della Foundation Bru-Zane di Venezia, ho contattato Gérard Condé, che mi ha generosamente inviato le fotocopie del manoscritto. I motivi di interesse di questo inedito sono molteplici: non solo si tratta di un Concerto scritto con grande maestria da uno dei principali protagonisti del Romanticismo musicale francese, ma, soprattutto, è l’unico Concerto ad essere stato concepito per il ‘piano-pédalier’: uno strumento a sua volta dimenticato, e certamente degno di essere riscoperto e valorizzato.
Chiamato anche ‘Pedalflügel’ in Germania o ‘Pedalpiano’ nei paesi anglofoni, il piano-pédalier è un pianoforte a cui è abbinata una pedaliera di tipo organistico, collegata ad una seconda cordiera. È uno strumento di antiche origini: già nel 1460 si parla di un clavicordo con pedaliera nel trattato enciclopedico di Paulus Paulirinus. Per il clavicordo e per il clavicembalo con pedaliera anche J. S. Bach ha composto diversi brani, come le sei ‘Sonate in trio’ BWV 525-530 “für zwei Claviere und Pedal”. È noto che Mozart possedeva un piano-pédalier, su cui ha anche improvvisato in pubblico. Mendelssohn e Schumann ebbero in casa dei piano-pédalier costruiti dal lipsiense Ludwig Schöne. Fu soprattutto Schumann a credere nelle potenzialità di questo strumento: convinto che sarebbe stata la naturale evoluzione del pianoforte, egli scrisse alcune ispiratissime musiche per il piano-pédalier, come i ‘Sechs kanonische Etüden für den Pedalflügel’ op. 56 e i ‘Vier Skizzen für den Pedalflügel’ op. 58. Qui la linea affidata alla pedaliera dona una luce particolare alle armonie, e sembra quasi impersonare ‘Maestro Raro’, l’alter ego di Schumann che è espressione di poetica saggezza e sublime equilibrio. Perché Schumann amava così tanto il piano-pédalier? Credo che proprio la presenza di una voce diversa, in grado di sostenere le armonie, ma anche, grazie al suo timbro diverso, di dialogare dialetticamente con la tastiera del pianoforte, abbia stimolato la sua creatività. Del resto egli era da sempre attratto da particolari utopie sonore e compositive, dunque l’idea di far suonare il pianoforte con due voci diverse e coesistenti deve averlo certamente entusiasmato, a tal punto da convincere Mendelssohn ad istituire una cattedra di piano-pédalier al Conservatorio di Lipsia.
Nonostante ciò, il piano-pédalier non ebbe però grande fortuna in Germania nella seconda metà dell’Ottocento, rimanendo soprattutto uno strumento da studio per gli organisti, che potevano così esercitarsi anche fuori dalle chiese. Tuttavia nello stesso periodo guadagnò una certa popolarità in Francia, grazie all’interesse di due grandi costruttori di pianoforti, Erard e Pleyel, che produssero anche piano-pédalier. Parallelamente alcuni compositori francesi ne arricchirono il repertorio con numerose opere: Charles Valentin Alkan ha composto più di tre ore di musica per piano-pédalier, tra cui i ‘Dodici Studi per Pedaliera sola’ (alcuni pressoché ineseguibili) e il ‘Bombardo-Carillon’ per pedaliera a quattro piedi. E Charles Gounod, ammirato dalle virtù dell’amica “pedalpianista” Lucie Palicot, compose ben quattro brani per piano-pédalier e orchestra: ‘Fantaisie sur l’Hymne Russe’ (1885), ‘Suite Concertante’ (1886), ‘Danse Romaine’ (1888) e, da ultimo, il suddetto ‘Concerto in mi bemolle maggiore’ (1889), chiaramente scritto per valorizzare le potenzialità gestuali e timbriche della pedaliera. In tutti e quattro i movimenti (Allegro moderato, Scherzo, Adagio ma non troppo, Allegretto pomposo) il solista è protagonista assoluto. La scrittura per la pedaliera non è quasi mai di mero supporto armonico, ma assume un ruolo preponderante, esaltando le potenzialità di dialettica musicale e l’espressione gestuale, peculiare di questo strumento. Proprio l’interesse di questo inedito mi ha spinto ad apprendere la tecnica della pedaliera. Mi sono così reso conto che ancora oggi non esiste una tradizione esecutiva del piano-pédalier: non ci sono metodi, né trattati. E la tecnica della pedaliera organistica non può essere applicata alla pedaliera pianistica, essendo quest’ultima collegata ad una cordiera e ad una meccanica a martelli e richiedendo, quindi, una particolare sensibilità del tocco. Ho appurato, dunque, che era necessario adattare la tecnica del trasferimento del peso, utilizzata da quasi tutti i pianisti concertisti, anche alla pedaliera: solo così è possibile ottenere una sonorità ricca, un legato apprezzabile e un migliore controllo della dinamica. È anche importante trovare un giusto equilibrio tra il movimento delle gambe e quello delle caviglie, che corrispondono rispettivamente al braccio e al polso nella tecnica pianistica. Una difficoltà in più è data dal controllo del baricentro del corpo: quando le gambe sono “occupate” sui pedali non è possibile appoggiarsi su di esse per controllare i movimenti e le rotazioni del busto. È quindi necessario individuare un punto di equilibrio alternativo sul bacino, rinforzando i bassi addominali e, all’occorrenza, appoggiandosi sulle mani - cosa possibile anche mentre suonano - per gli spostamenti laterali. È inoltre fondamentale mantenere una buona sensibilità tattile con la pedaliera: le scarpe tradizionali, dunque, sono inutilizzabili. Suonare scalzi è una possibilità che ha anche alcuni svantaggi (non tanto estetici, quanto inerenti il dolore fisico!). In attesa di individuare la calzatura ideale, per il momento alterno un paio di scarpe in pelle sottilissima, usate per la danza jazz, ad un paio di ipertecnologiche Vibram “Twentyfingers”, che hanno il solo svantaggio di essere leggermente rumorose nei passaggi rapidi e poco compatibili con il classico rigore dell’abito da concerto.
Il repertorio per piano-pédalier, nonostante i capolavori di Schumann e Gounod, rimane ancora molto ristretto. Tra gli altri compositori che hanno lasciato significativi contributi alla produzione pedalpianistica, oltre al già menzionato Alkan, altri francesi come Théodore Dubois e Théodore Salomé, e soprattutto Franz Liszt, la cui celebre ‘Fantasia “Ad nos, ad salutarem undam”’ fu concepita per piano-pédalier, anche se è comunemente nota nella versione organistica. È quindi auspicabile che i compositori di oggi possano arricchire il repertorio pedalpianistico. Ciò sta già avvenendo: Cristian Carrara (1977) ha scritto un ispirato ‘Magnificat’ (2011) per piano-pédalier e orchestra, che eseguirò in numerose occasioni accanto al Concerto di Gounod. Qui la voce della pedaliera riprende temi gregoriani, intersecandosi con il denso e cangiante tessuto orchestrale e dando una peculiare caratterizzazione timbrica alla partitura. Anche Ennio Morricone ha accolto il mio appello a scrivere per piano-pédalier, componendo nel febbraio 2011 lo ‘Studio IV bis’ per questo strumento – si tratta di un adattamento del suo preesistente Studio IV per pianoforte, con l’aggiunta di una nuova voce per la pedaliera. È stato subito seguito da Andrea Morricone, autore di ‘Omaggio a J. S. B.’. Il repertorio contemporaneo per piano-pédalier comprende anche alcuni altri brani per Doppio Borgato scritti da Jean Gillou, Franco Oppo, Fabrizio Marchionni, Sergio Prodigo, Luciano Bellini, Giovanni Damiani e Giuseppe Lupis, le cui ‘Variazioni su Ah! Vous Dirai-je, Maman’ (2011) indagano argutamente e con ironia le potenzialità grottesche e spettacolari della performance alla pedaliera.
Gli orizzonti sono, dunque, vasti e multiformi. Chissà che, dopo la provvisoria estinzione del piano-pédalier nei primi del ‘900, non potremo ora assistere ad una nuova ‘pédalier-renaissance’?
Roberto Prosseda