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Interviste
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Maestro Prosseda, Lei è il pianista che viene forse da una delle città italiane di più recente fondazione. Questo forse la spinge verso la ricerca del nuovo?
Latina è una città nuova, fondata nel 1932, ma ovviamente i suoi abitanti vi hanno portato una notevole varietà di storie e tradizioni diverse. Mia madre è siciliana, mio padre viene da Norma, un antico paese di origini preromane, e i miei concittadini sono perlopiù di origini venete, friulane, calabresi e siciliane. Questa molteplicità mi ha stimolato a cercare nuove aperture anche negli studi musicali. Credo di aver trovato una mia “strada” proprio grazie alla diversità dei tanti musicisti con cui ho studiato, e cerco di mantenere una simile varietà anche nella scelta del repertorio. Per quanto riguarda gli autori contemporanei, ho avuto la fortuna di frequentare sin da giovanissimo i concerti del Festival Pontino, in cui ho conosciuto personalmente compositori come Elliot Carter, Franco Donatoni, Goffredo Petrassi, Luis de Pablo.
I suoi rapporti con Petrassi?
Era una persona molto semplice e alla mano, aveva dei modi che comunicavano grande sicurezza, ma anche una sincera modestia. Ebbi occasione di fargli ascoltare le sue musiche pianistiche prima di inciderle e fu un’esperienza che ricordo con grande piacere. Non mi diede particolari consigli sull’interpretazione, ma mi fece capire come la naturalezza e la convinzione dell’espressione musicale fossero ben più importanti di una sterile adesione al testo.
Lei ha suonato anche musica del Maestro Cafaro. Ci parli della sua singolare figura di artista.
Ho conosciuto Sergio Cafaro sin dai primi anni di studi, poiché la mia insegnante al conservatorio era la moglie, Anna Maria Martinelli. Così spesso avevo modo di far lezione anche con lui, e ricordo la sua particolare attenzione alla qualità del suono e del cantabile, che sapeva esemplificare egregiamente al pianoforte. Credo che sia stato uno dei più importanti pianisti italiani della sua generazione (era nato nel 1924), ma a causa del suo carattere schivo e poco ambizioso non ha raggiunto la fama che meritava. Recentemente ho ascoltato delle sue incisioni degli anni ’60 e mi hanno profondamente colpito. Oltre che un eccellente pianista, Cafaro era compositore, scrittore, pittore, entomologo, umorista. Tutti questi interessi in lui convivevano e si integravano, per cui la sua figura umana, oltre che artistica, era davvero singolare e di grande fascino. Ho spesso suonato le sue musiche pianistiche, che trovo interessanti proprio perché sono del tutto distaccate dalle mode o dalle tendenze intellettuali diffuse negli stessi anni, e per questo mantengono un fascino autentico. Non è musica scritta per avere successo o per suscitare l’approvazione dei critici, ma per il puro piacere di comporre, di unire atteggiamenti musicali e stilistici molto diversi fra loro.
Un brano che suono molto spesso è “Vive Carmen” per pianoforte a quattro mani. Si tratta di una parafrasi sulla Carmen, scritta per un concorso di musica umoristica, dove, inevitabilmente, si aggiudicò il primo premio. Al termine del brano c’è un sorprendente contrappunto doppio tra il tema del toreador e quello dei Maestri cantori di Norimberga!
Pensa che la professione di pianista sia mutata dalla Sua infanzia a oggi?
In generale, ho l'impressione che oggi in Italia vi siano molti talenti notevoli tra i giovani pianisti, forse più di 20 anni fa. Grazie alla maggior facilità degli spostamenti e delle comunicazioni (ossia grazie anche ai voli low-cost, skype, youtube e anche a Pianoforum!), oggi è più facile avere contatti, scambi di idee e di esperienze con un maggior numero di persone, e ciò non può che giovare a tutti. Ma sopratutto oggi sta mutando radicalmente il rapporto tra interpreti e pubblico, sia nel concerto dal vivo, sia nelle incisioni. Non mi riferisco solo al fatto che oggi sempre meno concertisti indossino il frac, o che sia lecito o meno applaudire tra i movimenti di una sinfonia (cosa che ora succede spesso in Inghilterra, ma che pare fosse normale ai temi di Mozart). Dobbiamo pensare che la musica che noi chiamiamo “classica” rischia l’estinzione, o almeno la ghettizzazione in ambienti accademici, se non ci sforziamo di far capire ad un pubblico più ampio quanta bellezza, quanta profondità poetica si possa trovare negli autori classici. E soprattutto quanto essa sia attuale, quanto appartenga alla nostra cultura.
Se oggi molte sale da concerto sono semivuote, e contemporaneamente 40 mila giovani pagano biglietti costosi per ascoltare un concerto rock, ci sarà qualcosa da migliorare nel nostro modo di comunicare. Ovviamente il nostro pubblico non potrà mai essere lo stesso di Vasco Rossi, ma credo che anche da Vasco Rossi ci sia da imparare sul modo di porsi con il pubblico.
Come vede la professione di pianista tra quarant'anni?
Me lo chiedo spesso. La tecnologia e la globalizzazione certamente continueranno ad influire sempre di più anche nella vita musicale. I concerti trasmessi via internet sono già una realtà diffusa, e lo saranno sempre più (spero con una migliore qualità audio…), così come il CD sarà certamente soppiantato da altri formati “liquidi” (auspicabilmente migliori degli mp3). Non so quanto il pianoforte si evolverà in senso tecnologico. Gli esperimenti della Boesendorfer (Ceuss) della Yamaha (Disklavier) non hanno dato finora grandi svolte all’evoluzione dello strumento.
Credo, comunque, che il concerto dal vivo non scomparirà. Semmai diventerà un evento di lusso. Spero che non si perda il gusto per un calore espressivo e una naturale libertà di fraseggio che già oggi è meno di moda rispetto agli anni ’30 e ’40 (basta riascoltare le incisioni di Friedmann e Moisewitch e confrontarle con qualsiasi altra incisione moderna per rendersene conto). Negli ultimi anni, anche fra i costruttori di pianoforti, l’estetica del timbro pianistico sembra evolversi dando la priorità alla potenza e all’incisività, a discapito della ricchezza e della morbidezza del suono. Mi auguro che questa tendenza si possa invertire presto. Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito ad una notevole riscoperta della prassi filologica applicata alla musica barocca e settecentesca. Ciò non è ancora accaduto con la stessa forza nei riguardi della musica romantica. Oggi è normale ascoltare Haydn o Mozart al fortepiano con una particolare attenzione alle articolazioni originali e senza quella rigidità che contraddistingueva i primi esperimenti filologici, mentre è più raro che un interprete affronti Chopin con la stessa consapevolezza storica. Spero che nei prossimi decenni la ricerca filologica (quella illuminata, non quella integralista) si sviluppi anche nei confronti della musica pianistica romantica.
Infine mi auguro che la musica sia sempre di più un mezzo per portare felicità a chi più ne ha bisogno. Spesso mi dico: è giusto che io abbia dedicato la mia vita a studiare, solo per raggiungere un traguardo personale? Non sarebbe stato meglio dedicarsi ad altre professioni concretamente utili agli altri? Di recente, però, ho avuto molte conferme di come anche un concerto possa dare delle gratificazioni a livello umano, ad esempio nel caso di recital presso orfanotrofi o ospedali. A tale proposito, sto collaborando all’organizzazione di una nuova stagione concertistica presso il reparto di Oncologia dell’ospedale di Carrara. Nel prossimo futuro vorrei dar vita, con l’aiuto dei colleghi interessati, ad una rete di concertisti “donatori di musica”, che siano disponibili a suonare gratuitamente in concerti riservati ai pazienti di un ospedale, o a carcerati, o comunque a persone che non sarebbero altrimenti in grado di ascoltare un normale concerto dal vivo.
Ha fatto concorsi internazionali particolarmente significativi?
Sì, mi sono serviti soprattutto per imparare ad affrontare situazioni di stress tenendo i nervi saldi. Ricordo però che mi facevo troppo condizionare da una ricerca verso la perfezione tecnica e l’“inattaccabilità”, dalla preoccupazione di assecondare i gusti della giuria, cose che non sempre erano positive ai fini musicali. Qualche anno fa scrissi un articolo intitolato “Concorsisti o Concertisti?”, in cui ancora mi riconosco pienamente. Continuo a credere che i concorsi siano utili per farsi conoscere in una prima fase della carriera, per avere una meta nella preparazione del repertorio, e soprattutto per instaurare nuove amicizie e contatti con altri musicisti (se non fosse stato per il Casagrande, forse oggi non sarei felicemente sposato con mia moglie…).
Il rischio, però, di chi punta esclusivamente sui concorsi è di perdere di vista alcune priorità principali del far musica: la ricerca di aspetti innovativi nell’interpretazione, la libertà di esprimere la propria personalità a prescindere dalle aspettative esterne, la continua esigenza di rinnovare il repertorio e l’attenzione al rapporto con il pubblico.
Il Suo rapporto con Mendelssohn è diventato privilegiato. Che cosa attrae nella sua musica?
La levità. Le sue partiture, anche nelle parti più complesse o virtuosistiche, mantengono sempre una particolare luce che traspare dalla scrittura contrappuntistica.
Avevo iniziato a studiare Mendelssohn partendo dagli inediti, che ovviamente m attiravano anche per l’entusiasmo di riportare alla luce musiche rimaste ignote per tanti anni. Ora sono passato ad approfondire le sue musiche pubblicate da tempo, e anche tra esse vi sono molte scoperte da fare, se si pensa che solo una minima parte è stabilmente entrata in repertorio. Sono reduce dall’incisione di tutte le Romanze senza Parole (che in tutto sono 56, ossia più delle 48 comunemente note), che mi hanno fatto apprezzare ancor di più le qualità uniche del cantabile mendelssohniano: sempre limpido ma profondamente vissuto, lontano dagli eccessi, sincero e naturale. Forse proprio come era Felix, almeno stando a quanto si evince dalle sue numerose lettere.
Il Suo animale preferito?
Il cane. Leale, amico, altruista.
Il suo autore letterario preferito?
Dante. Nella Divina Commedia convivono universale e particolare, natura e creatività, fede e leggenda, in un insieme straordinariamente coerente ed unitario.
Sa che Berlusconi ha proposto in Parlamento di finanziare con una (modesta ma concreta) pensione statale gli artisti (musicisti in particolare) che possano portare lustro alla civiltà Italiana, come già accadde per Grieg? Che ne pensa?
Non sapevo di questa proposta: benvenga, anche se bisognerà vedere con quali criteri si sceglieranno gli artisti meritevoli della pensione “VIP”. Il problema, comunque, è che oggi gran parte dei musicisti non possono aspirare ad alcuna pensione, nonostante che i versamenti Enpals siano molto esosi e obbligatori anche per i musicisti non professionisti. Può anche succedere che un concertista, dopo aver versato all’Enpals un milione di euro di contributi, non abbia diritto alla pensione (neanche la minima), non avendo raggiunto la soglia richiesta di giornate lavorative, e perdendo così tutti i contributi versati all’Enpals. Da più di un anno si sta sviluppando una mobilitazione di musicisti per cercare di migliorare questa situazione, adeguando il sistema pensionistico italiano a quello degli altri stati europei.
Dove va in vacanza?
Non ho una meta fissa per le vacanze. Ora, per esempio, mi trovo in Canada in un viaggio che unisce due concerti ad alcuni giorni di vacanza con la mia famiglia.
Mi piace molto viaggiare, e spesso approfitto dei concerti per visitare luoghi dove altrimenti sarebbe difficile capitare. Per esempio, l’Uzbekistan, la Rift Valley in Kenya, la Siberia orientale. Per le vacanze “normali”, preferisco la montagna (mi piace molto l’Appennino Abruzzese), anche se quest’anno non sono ancora riuscito a fare nemmeno una scalata.
Farebbe studiare pianoforte ai suoi figli?
Finora ho una sola figlia di un anno, Miriam, e il problema ancora non si pone. Vedo però che già è attratta dalla tastiera, e non ho resistito alla tentazione di farla sedere al pianoforte, con il risultato di una singolare performance di clusters, non lontana da certi brani degli anni ’60… Mi piace pensare che Miriam crescerà con la musica (del resto anche prima di venire alla luce ha tenuto vari concerti con la mamma!) e già ora ha ascoltato una grande quantità di musica. L’importante è che mantenga con la musica un rapporto ludico, che sia un modo per scoprire il mondo.
Che cosa farà nella prossima vita?
Scriverò 284 Studi sugli Studi di Godowsky sugli Studi di Chopin, così il Maestro Libetta saprà cosa fare nella sua prossima vita.