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Interviste
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Da pochi giorni nei negozi di dischi si trova il tuo primo cd mozartiano, con le prime sei sonate per pianoforte solo. Hai suonato su un grancoda Fazioli con l’accordatura Vallotti, non la solita equabile. Chi era Vallotti e perché sei ricorso a questa insolita modalità?
Francesco Antonio Vallotti (1697 – 1780) era un compositore e teorico musicale, nato a Vercelli e vissuto a Padova. Il temperamento Vallotti era molto diffuso nella seconda metà del '700, mentre il temperamento equabile prese piede solo dopo il 1800. L'accordatura Vallotti, certamente molto simile a quella usata da Mozart, consente di differenziare il colore di ogni tonalità, poiché le quinte e le terze non sono tutte uguali: ad esempio, il fa minore suona molto più struggente, mentre il la minore è amaro, e non solo malinconico. Ciò spiega perché Mozart abbia scritto alcune sonate in determinate tonalità. Sono certo che anche l'ascolto ne guadagna, in quanto ogni brano assume una diversa ambientazione emotiva. Quando ho pensato di registrare le Sonate di Mozart, mi sono chiesto: c'è davvero bisogno di una ennesima incisione? E, se Mozart vivesse oggi, suonerebbe la sua musica su un fortepiano d'epoca, o su un pianoforte moderno? Mi è stato molto utile studiare sul fortepiano, ma ho sentito che la mia “lingua madre” è il pianoforte moderno, con il quale ho cercato, però, di rievocare timbri e suggestioni derivate dalla pratica del fortepiano, anche tramite un'accordatura filologica. Così, con questa incisione, ho voluto offrire al pubblico un'alternativa di ascolto che prima non c'era.
Hai inciso una dozzina di cd, quasi tutti per Decca. Che significato ha oggi incidere un disco “fisico” quando la maggioranza dei giovani ascoltano musica solo online, su siti ufficiali o pirata?
Per me incidere un CD è una forma di ricerca e approfondimento interpretativo, e lo faccio per condividere i miei “entusiasmi” musicali con il maggior numero di ascoltatori possibili. Naturalmente la Decca è molto presente anche sui principali canali di ascolto digitale in streaming o download (iTunes, Spotify, Deezer, Qobuz), e grazie a internet oggi le incisioni possono avere una diffusione molto maggiore e diretta, anche in paesi dove il CD fisico non arriva. Spesso, poi, l'ascolto gratuito in streaming induce l'utente a comprare il CD, o a scoprire artisti che altrimenti mai avrebbe conosciuto. Ben venga, quindi!
Dici Prosseda e pensi a Mendelssohn. Del grande compositore amburghese hai suonato e inciso tutto e sei persino presidente di un’associazione a lui dedicata (www.associazionemendelssohn.it). Quali sono i punti di forza della sua opera e perché non ha ottenuto la popolarità dei suoi contemporanei Chopin e Schumann?
Mendelssohn è stato il più colto ed equilibrato tra i grandi compositori del Romanticismo. La sua musica è raffinatissima, spesso molto complessa, e tuttavia ricca di lirismo e di tante sfaccettature emotive. Forse non ha una presa immediata sull'ascoltatore come quella di Chopin o Schumann, e può risultare di difficile esecuzione: per questo ha avuto una minore popolarità, ma oggi stiamo assistendo ad una vera Mendelssohn renaissance. Con l'Associazione Mendelssohn ho recentemente pubblicato l'app “i-Mendelssohn”, disponibile gratuitamente per iPhone e Android, che costituisce un utile punto di partenza per scoprire l'universo mendelssohniano.
La tua attività artistica si è sempre contraddistinta per la grande versatilità: pianista, docente, storico, saggista, musicologo, ma anche per l’audacia delle collaborazioni, da Elio e le storie tese, passando per il robot-pianista TeoTronico, per finire con la riproposta del piano pédalier, strumento praticamente estinto. In quale dimensione ti senti più a tuo agio?
In tutte: sono convinto che oggi un musicista non può limitarsi a fare concerti solo nei format tradizionali e con il solito repertorio. A me interessa esplorare musiche diverse, proporre al pubblico brani o strumenti che ancora non ha mai ascoltato, come il piano-pédalier, o rileggere il repertorio mainstream in modo diverso, sperimentando modi innovativi per la condivisione della musica. In questo rientrano le esperienze con Elio e con il robot-pianista TeoTronico: entrambe puntano a raggiungere un pubblico nuovo, che altrimenti mai metterebbe piede in una sala da concerto, con l'obiettivo di fare scoprire la bellezza della musica classica a più persone possibili, e senza snaturarla o banalizzarla. E anche quando tengo un “normale” recital pianistico mi piace parlare al pubblico e cercare una comunicazione emotiva diretta e intensa. Del resto, come dice Krystian Zimerman, la musica non è altro che una successione di stati d'animo ordinati nel tempo.
Hai suonato come solista con le più prestigiose filarmoniche del mondo: Accademia nazionale di Santa Cecilia di Roma, Filarmonica della Scala di Milano, Royal Liverpool Philharmonic, Gewandhaus di Lipsia, Mozarteum Orchestra, London Philharmonic Orchestra, New Japan Philharmonic. In un mondo sempre più globalizzato, ha ancora senso parlare di suono “italiano”, “tedesco”, “inglese”? Insomma, le orchestre ormai sono tutte uguali?
Beh, anche nella stessa città (vedi Berlino) troviamo orchestre che suonano in maniera completamente diversa, anche perché spesso sono composte da musicisti provenienti da varie nazioni e scuole. Tuttavia credo che si possa ancora parlare di un suono “italiano”: noi abbiamo un approccio musicale diretto, passionale, anche sensuale, e ciò dipende dalle nostre radici culturali, che non abbiamo ancora perso. Ma, d'altro canto, ogni vero musicista dovrebbe avere un suono che sia solo il suo, che si possa riconoscere tra mille anche ascoltandolo alla radio.
Sono note le tue critiche al sistema dei Conservatori italiani. Hai insegnato qualche anno, ma oggi hai deciso di rinunciare alla carriera accademica. Che cosa non ti piace dell’alta formazione musicale italiana e che cosa ne pensi della Riforma?
Personalmente, non ho nulla contro i Conservatori, e ci sono moltissimi bravissimi colleghi che vi insegnano con ottimi risultati. Tuttavia non approvo il sistema di reclutamento degli insegnanti, che oggi ignora del tutto la meritocrazia e i risultati ottenuti nell'insegnamento. Le graduatorie nazionali (legge 128/2013) hanno addirittura abolito i titoli artistici e sono basate unicamente sui titoli di servizio e di studio. A me piace molto insegnare, ma ho scelto di farlo in contesti privati, dove sono gli allievi a decidere di studiare con me, e dove posso garantire loro la continuità didattica. Nei Conservatori, invece, come molti altri docenti precari, ogni anno ero costretto a cambiare sede: un'ingiustizia non tanto per me, quanto per gli allievi.
Sei uno dei pochi pianisti che, accanto all’attività concertistica, si è cimentato con la scrittura. Hai mandato in libreria una fortunata guida all’ascolto “Il pianoforte” per le edizioni Curci. Ma si può davvero insegnare ad ascoltare la musica?
L'ascolto della musica è un'esperienza estremamente soggettiva, ma si può dare qualche input per stimolare un'ascolto più intenso e consapevole. È quello che ho cercato di fare nel libro, e che spesso faccio anche dal vivo, quando parlo brevemente al pubblico prima di un concerto.
Sei stato uno dei fondatori dell’associazione “Donatori di musica” di cui oggi sei direttore artistico. Ci racconti come è nato il progetto e a che punto è oggi questa straordinaria avventura musicale negli ospedali italiani?
Tutto è nato nel 2007 dall'incontro di un mio caro amico, il produttore discografico Gian Andrea Lodovici, con il dottor Maurizio Cantore, allora primario presso l'Oncologia dell'Ospedale di Carrara. Oggi sono attive più di dieci stagioni concertistiche in altrettanti ospedali, e stanno per partirne altre. Le informazioni aggiornate si possono trovare sul sito www.donatoridimusica.it. È un progetto che mi ha dato tantissimo e mi ha insegnato che nel suonare la cosa più importante è la condivisione della bellezza che è nella musica. Se mettiamo la musica al centro, e non noi stessi, suonare (e ascoltare) diventa più facile e naturale.
Nei tuoi recital includi sovente repertorio cosiddetto “contemporaneo”, di autori come Carlo Boccadoro, Nicola Campogrande, Paolo Castaldi, Aldo Clementi, Luca Lombardi. Ma anche del Novecento storico come Dallapiccola e Petrassi. Senti, lo sappiamo tutti, al pubblico che va ai concerti e persino alla maggioranza dei musicisti, questa letteratura non piace. Per anni si è detto che “gli spettatori si sarebbero dovuti abituare piano piano”. Può darsi, ma ormai sono passate decine d’anni e quando qualcuno li programma la sala si svuota. Mi dai una chiave di lettura?
Oggi il panorama della musica contemporanea è diventato molto vario. Molti compositori stanno riscoprendo l'importanza della comunicazione col pubblico, e io suono solo le musiche in cui riesco ad immedesimarmi emotivamente: solo così sono in grado di comunicarle adeguatamente al pubblico. Non sono contrario, però, alla complessità e alla ricerca di linguaggi nuovi, purché vi sia sincerità, qualità e buona fede, mentre non mi interessano i tentativi di ammaliare il pubblico con musiche volutamente banali e superficiali.
La musica classica dal vivo, dal secondo dopoguerra, è stata pesantemente sostenuta da finanziamenti pubblici in tutta Europa. Prima, i musicisti e in particolare i professori d’orchestra, salvo poche eccezioni, morivano di fame, oggi sono una categoria meno ricca di altre, ma diciamo che se la cavano. Il risultato però è che ogni volta che lo Stato fa un passo indietro, il castello di carte rischia di crollare. Possibile che la musica classica non possa mai essere autosufficiente?
Il futuro della vita musicale italiana sarà sempre più legato ai finanziamenti privati e a nuovi sistemi di coinvolgimento del pubblico, anche dal punto di vista produttivo. Penso ai metodi di crowdfunding via internet, o alle tante Fondazioni private che supportano la musica di alcuni compositori. Un esempio emblematico in tal senso è rappresentato dalla Fondazione Palazzetto Bru-Zane, che promuove la musica romantica francese a tutto campo, producendo concerti, registrazioni, pubblicazioni, convegni, ricerche musicologiche. Sarebbe bello che anche per la musica italiana si facesse altrettanto. In questo senso, abbiamo comunque delle iniziative importanti, come quella svolta dal Cidim. Su questo argomento si terrà una tavola rotonda, a mia cura, nell'ambito della prossima edizione di Cremona Mondomusica, il prossimo 1 ottobre.
Hai tre figli [Miriam, 8 anni, Jacopo, 5 anni, e Giovanni, nato il 2 marzo scorso] e una moglie pianista, Alessandra Ammara, bravissima e pluripremiata in concorsi internazionali. Come concili famiglia e attività concertistica?
La famiglia è il mio punto di riferimento e ha la priorità su tutto il resto, anche sulla carriera. Grazie a questo, riesco a vivere più serenamente, e a far musica senza l'ossessione di dovere dimostrare qualcosa, o di dover a tutti i costi raggiungere il successo. A volte devo stare lontano da casa per qualche settimana, e il momento più bello di ogni tour è sempre il ritorno e l'abbraccio con mia moglie e con i bambini.