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Il temperamento, il diapason e il senso di un progetto discografico
Roberto Prosseda è un artista sensibile e coltissimo: ecco perché mi è parso interessante sottoporgli le obiezioni rivolte da Piero Rattalino nella recensione ed ascoltare il motivo delle sue scelte. Prosseda ha subito voluto precisare come nasce questo progetto.
Come sempre quando intraprendo un nuovo progetto, mi sono chiesto se ci fosse bisogno di un'ennesima integrale delle Sonate di Mozart. Nel caso dell'integrale di Mendelssohn, il senso dell'operazione era di colmare un vuoto, visto che non ne esistevano altre. Delle Sonate di Mozart, invece, abbiamo già moltissime incisioni, alcune splendide. Quindi ho scelto di non aderire ad una tradizione interpretativa già battuta, ma di proporre una visione personale, a partire dalla scelta della sonorità e dell'accordatura. Mi sono avvicinato all'approccio di chi ha inciso Mozart su strumenti storici, come Staier e Bezuidenhout o, prima di loro, Bilson e Levin, cercando di riproporre analoghi effetti timbrici ed espressivi, pur usando un pianoforte moderno. Con ciò non intendo fare qualcosa di nuovo a tutti i costi, ma offrire agli ascoltatori un'alternativa discografica che prima non c'era.
Qual era prima la sua visione del Mozart sonatistico, e come è maturata?
Il mio primo incontro con Mozart è avvenuto a sei anni, con «Il mio primo Mozart», curato proprio da Piero Rattalino. Poi ricordo bellissime lezioni con Sergio Cafaro, un artista molto sensibile che mi ha trasmesso la passione per Mozart. Quando studiavo a Imola negli anni ’90 ho iniziato ad affrontare Mozart con maggiore consapevolezza stilistica, e allora fu proprio Piero Rattalino, in una lezione sulla K 283, a farmi notare alcuni dettagli sulla gestione timbrica, sull’«orchestrazione» e sull’importanza della dizione, per sottolineare gli snodi dell’articolazione. Negli stessi anni, incontrai Alexander Lonquich, interprete mozartiano che stimo moltissimo, e che mi ha dato grandi stimoli artistici. Ho poi lavorato con Staier, Rosen, Badura-Skoda e con altri musicisti esperti di prassi esecutiva e ho letto numerosi trattati storici e saggi moderni sulla filologia, tra cui quello recente, secondo me fondamentale, di Clive Brown.
Veniamo ai «capi d’accusa». Perché proprio il temperamento Vallotti e non un altro inequabile?
Prima di decidere, ho provato diversi temperamenti inequabili, testando quelli diffusi all’epoca di Mozart e compatibili con le tonalità delle Sonate, fra cui il Kirnberger III, il Werckmeister III, il Vallotti e il Vallotti-Young. Altri non erano possibili, a meno che non usassi un temperamento diverso per ogni Sonata – ipotesi che ho pure valutato, ma che avrebbe posto molti altri problemi anche per l'ascoltatore, e avrebbe minato la coerenza interpretativa del progetto. Volendo, dunque, scegliere lo stesso temperamento per tutte le Sonate, e non avendo notizie certe su quale temperamento Mozart utilizzasse, ho preferito il Vallotti, poiché offre la maggiore varietà, presentando ben sei diversi tipi di semitoni, con sei quinte pure; altri temperamenti risultavano troppo sgradevoli in alcune tonalità (come la bemolle maggiore o si maggiore) che pure sono presenti nelle transizioni di alcune Sonate, come, ad esempio, nella Sonata K 457 in do minore. Il mio obiettivo, peraltro, non era di stupire l'ascoltatore con sonorità mai udite prima, né di proporre una soluzione al 100% autentica (cosa peraltro impossibile e non dimostrabile), ma di offrire una versione che si avvicinasse alla varietà di colori e di sfumature che Mozart aveva in mente. La sonorità, evidentemente, non dipende solo dall'accordatura, ma soprattutto dallo strumento utilizzato e dal modo in cui esso è suonato. Nel mio caso, ho applicato (credo sia la prima volta in una incisione delle Sonate di Mozart) un'accordatura storica ad un pianoforte moderno, un nuovissimo Fazioli F 278, e credo che il risultato possa agevolare un ascolto più consapevole, in quanto enfatizza le differenze espressive degli intervalli e la conseguente comunicazione degli stati emotivi e degli affetti. Si capisce, così, perché Mozart ha scritto una Sonata in quella determinata tonalità, e non in un’altra.
L’altra obiezione è legata alla scelta del diapason: perché 440 Hz e non fra 420 e 426?
Perché non si può portare a 420 Hz (ma neppure a 432) un pianoforte progettato per suonare a 440: l'ing. Fazioli me l’ha escluso, e sarebbe diventato uno strumento ancora più lontano dal suono che cercavo. La domanda semmai potrebbe essere: «perché non ha usato un fortepiano?». Ho considerato questa possibilità, ho provato tanti strumenti storici, sia copie che originali, ma non ne ho trovato uno in cui mi riconoscessi, non perché lo strumento non fosse buono, ma perché avrei avuto bisogno di almeno 10 anni, forse, per dominarlo. Quindi per me, ora, lo strumento con cui esprimermi non può che essere il pianoforte moderno, con il quale, però, cerco di riproporre sonorità e atteggiamenti espressivi che ho scoperto grazie alla pratica del fortepiano. In più, il Fazioli ha una trasparenza e un timbro che si avvicinano alla mia idea di suono mozartiano, e che mi consentono di ottenere una sonorità certamente diversa da quella tipica dei pianoforti moderni a cui siamo abituati. E poi mi chiedo: se Mozart tornasse oggi sulla terra, sceglierebbe un fortepiano di 240 anni fa o un Fazioli nuovo, per suonare le sue Sonate?
Rattalino lamenta l’assenza del «passo estremo», ossia il preludiare fra i movimenti: ci ha pensato?
Penso di essermi concesso già molte libertà, con l’aggiunta di note o addirittura di alcune battute, come, ad esempio, prima della ripresa del primo tempo della K 279, nel ritornello. Ho inserito molte ornamentazioni non scritte, ma mai in modo arbitrario: mi sono basato sui due esempi “fioriti” pubblicati da Mozart (gli Adagi delle Sonate K 284 e K 332), usando quello stile per applicare le fioriture in contesti simili nelle altre Sonate. In sede di incisione, non ho invece sentito l’esigenza di improvvisare fra un movimento e l’altro. Non escludo di farlo in concerto, ma fissare un momento improvvisativo su disco è cosa diversa: sarebbe quasi una contraddizione in termini, in quanto un CD viene riascoltato più volte, e dopo il primo ascolto il senso di sorpresa dell'improvvisazione andrebbe perduto, lasciando il posto ad una prevedibilità contraria alle intenzioni iniziali. Del resto, non volevo fare un disco dimostrativo, magari con il record di fioriture incise o con l'accordatura più strana. Ho cercato, invece, di lasciare anche nell'incisione il senso di naturale freschezza che appartiene all'esecuzione dal vivo. Un tempo, pensavo che un CD dovesse essere quanto di più tecnicamente perfetto un artista può fare in quel momento: ora invece do la priorità allo slancio e al «dramma», che devono sempre essere presenti nell’esecuzione, anche su CD.
Come proseguirà questo progetto discografico?
Ogni anno uscirà un nuovo doppio CD, fino ad arrivare a sei CD, e poi non escludo di affrontare anche le Variazioni, alle Fantasie e, magari, i Concerti. Parallelamente sto eseguendo la musica di Mozart anche dal vivo: suonare in pubblico è per me un test fondamentale per la crescita artistica di un'interpretazione.