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Interview with Alfredo Di Pietro, May 2015

 

Caro maestro, credo sia interessante risalire nel percorso di un artista sino alle origini. Le pongo quindi la mia prima domanda che, come l'ultima, è di rito nelle mie interviste: può raccontarci com'è nata in lei la passione per la musica e per il pianoforte?

È nata in modo assolutamente spontaneo: a casa c'era il pianoforte verticale di mio padre. Lo consideravo il più grande dei miei giocattoli, ed è stato bello e naturale scoprire gradualmente, tramite quello strumento, il mondo dei suoni.

 

Entriamo subito in tema "Mendelssohn". Ciò che davvero mi sorprende non è che lei abbia proposto delle rarità pianistiche di questo grande musicista, quanto piuttosto il fatto che perle musicali di tale bellezza siano state sinora trascurate. Come lo spiega?

Mendelssohn è stato trascurato e frainteso per varie ragioni, sia storiche, sia culturali. Il nazismo e l'antisemitismo (presente in Germania ben prima dell'avvento di Hitler) ha purtroppo avuto un ruolo importante in questo senso. E i pregiudizi che ne sono derivati, in parte permangono ancora oggi, anche se negli ultimi decenni si è fatto molto per restituire una conoscenza di Mendelssohn basata su documenti originali e su una maggiore evidenza scientifica. Per quanto riguarda la sua musica pianistica, c'è anche da dire che essa è spesso di esecuzione molto complessa e mette a nudo i limiti tecnici ed espressivi dell'interprete, per via della scrittura molto scoperta e “trasparente”. Forse anche per questo molti pianisti hanno preferito tralasciarla, dedicandosi ad altri autori che scrivono per pianoforte in modo più “comodo” o ergonomico. 


Qualcuno l'ha definita “l'Indiana Jones” del pianoforte. Personalmente sono d'accordo a metà, nel senso che la vedo bene nei panni di un impeccabile professore universitario di archeologia, molto meno in quello dell'avventuriero in giacca di pelle e armato di una frusta come arma. Ma, al di là di quello che si dice di lei, chi è Roberto Prosseda e cosa davvero vuole comunicare a chi lo ascolta?

A me sta molto a cuore la condivisione profonda della musica. Credo sia importante non mettere al centro se stessi, ma l'ascolto condiviso, al di là di convenzioni formali o di consuetudini assodate. Ciò vale sia per la scelta del repertorio, sia per le modalità in cui la musica dal vivo può essere proposta. Il format del concerto tradizionale è solo uno dei tanti modi, e forse, oggi, non è il più adatto ai nostri tempi e ai nuovi, potenziali pubblici che potremmo raggiungere. Sono convinto che chi non ascolta o non apprezza la musica classica sarebbe pronto a cambiare idea, se scoprisse il modo di capirla, di viverla profondamente nei suoi significati emotivi. E ciò dipende in gran parte da noi interpreti, che a volte siamo troppo chiusi in un atteggiamento autoreferenziale e inutilmente compiaciuto del proprio distacco. Preferisco, dunque, gli abiti informali di un esploratore come Indiana Jones (anche se non amo le armi), capace di rompere gli schemi e di aprire nuove strade, piuttosto che la giacca e cravatta di un impeccabile rappresentante del mondo accademico.


Nel suo splendido cofanetto "Da Capo al Fine", conclusivo dell'integrale pianistica di Felix Mendelssohn Bartholdy, è contenuto un grande universo musicale. Oltre a ventinove prime registrazioni assolute, brani d'occasione, brevi pezzi composti in tenera età, compresi alcuni inediti esercizi scolastici, ci sono anche quattro variazioni che il compositore tedesco decise di escludere dalle Variations Sérieuses Op. 54 del 1841, da lei presentate in prima registrazione mondiale. Posso chiederle per quale motivo ha contravvenuto alla scelta del grande compositore tedesco?

Non credo di avere contravvenuto alla scelta di Mendelssohn quando ho inciso anche i brani che egli non pubblicò. A differenza di altri compositori, Mendelssohn non riteneva la pubblicazione un passaggio obbligato per le sue composizioni: anche la Sinfonia Italiana, ad esempio, rimase inedita alla sua morte, eppure siamo tutti concordi che suonare oggi la Sinfonia Italiana non è mancare di rispetto all'autore. Mendelssohn, del resto, a pochi anni dalla morte aveva pubblicato solo un quinto della sua musica, ma aveva personalmente eseguito gran parte delle sue composizioni non pubblicate. Quanto alle quattro variazioni escluse dall'edizione definitiva delle Variations Sérieuses, le ho incise per dovere di completezza, ma separate dall'esecuzione del celebre capolavoro, che quindi ho presentato nella sua versione originale, secondo le volontà dell'autore. L'inserimento, a latere, delle quattro variazioni, può essere utile all'ascoltatore per rendersi conto del processo creativo dell'autore, che passava per numerose fasi di revisione e cesellatura, prima di giungere alla versione definitiva.

 

Quali tratti dell'opera pianistica di Mendelssohn l'hanno indotta a definirlo come un chiaro anticipatore di Brahms?

Il legame con la tradizione delle forme classiche, come, appunto, il Tema con Variazioni e la Forma Sonata, che sia Mendelssohn che, poi, Brahms hanno saputo innovare pur senza stravolgerne la struttura, e mantenendo un chiaro riferimento agli esempi di Haydn, Mozart e Beethoven. Inoltre, sia Mendelssohn che Brahms hanno uno straordinario dominio del contrappunto, che emerge con naturalezza nella loro scrittura.

 

Maestro, desidero porle una domanda che, in qualità di infermiere professionale operante in un Hospice, mi coinvolge molto da vicino. So che le sta molto a cuore l'Associazione Donatori di Musica, crede che la funzione catartica della musica possa portare nuova luce in una persona affetta da una malattia grave e spesso inguaribile?

L'ascolto della grande musica, specie se dal vivo, può certamente aprire dei canali di comunicazione di forte intensità. Quando si suona per un pubblico così speciale, come quello di un reparto di Oncologia, ci si rende conto del vero senso della condivisione della musica: ossia il mettere la musica al centro, non l'interprete o l'ascoltatore. Così il rapporto col pubblico diventa molto più diretto e naturale: non conta più dimostrare di essere bravi, o preoccuparsi di offrire una esecuzione impeccabile. La priorità diventa, come sempre dovrebbe accadere, immedesimarsi nella musica e dare vita alla particolare energia che si sviluppa quando più persone contemporaneamente sono allineate in un ascolto intenso ed emotivamente partecipato.

 

Seguo con grande interesse il percorso che ha deciso d'intraprendere con il Pedal Piano: considero questo strumento come un ampliamento della già ricca tavolozza di possibilità espressivo-dinamiche di un pianoforte "normale". Su questo intrigante argomento mi piacerebbe fare con lei un piccolo punto della situazione: quanto è vasta è la letteratura dedicata al Piano Pedalier? Quali sono le principali difficoltà cui va incontro un pianista nell'affrontare questo complesso strumento? 

Il repertorio non è vastissimo, ma comprende capolavori di Schumann, Liszt e Alkan, tutti praticamente ancora sconosciuti, a causa, ovviamente, della rarissima reperiilità dello strumento e della complessità di esecuzione. Di Alkan, in particolare, esistono oltre tre ore di musica originale per pedal piano. Si tratta in gran parte di brani di enorme difficoltà, che sfruttano la pedaliera per costruire una terza dimensione sonora, basata su due fonti di ascolto differenti, eppure gestite dallo stesso esecutore. Suonare il pedalpiano costringe a rivedere completamente all'assetto pianistico, visto che i piedi non possono essere poggiati sul pavimento, come tutti i pianisti sono abituati a fare per assicurarsi l'adeguata stabilità. Ciò comporta un equilibrio molto più instabile, che va compensato con continui spostamenti del baricentro. Anche il modo di suonare con le mani, dunque, cambia, e il controllo contemporaneo di mani e piedi richiede una maggiore consapevolezza di ciascun movimento e di ogni muscolo utilizzato. Questa si è rivelata per me un'esperienza di profonda crescita psicofisica: imparare a suonare il pedal piano è stato come aprire due canali in più nel “mixer” immaginario che è nella mia mente. Ora riesco a controllare le parti polifoniche con maggior considerazione, e, anche nelle normali attività quotidiane, mi risulta più semplice fare più cose contemporaneamente!

 

Apprezzo molto la sua opera di divulgazione musicale, condivisa anche da altre grandi personalità del panorama pianistico italiano, come Maurizio Baglini per esempio. Lei si conferma come un artista dalla personalità fortemente eclettica, un ricercatore con la mente aperta verso le più disparate esperienze. Cito a proposito i suoi incontri con il robot pianista TeoTronico oppure le collaborazioni con Stefano Belisari (in arte Elio). E' ormai finita l'epoca dell'interprete intangibile, a volte altezzosamente arroccato nel suo ruolo?

Come dicevo in precedenza, la musica classica ha certamente bisogno di arrivare ad un maggior numero di persone, e i format tradizionali non sono più adeguati alle nuove generazioni. Quindi credo che sia doveroso per noi interpreti (ma anche per gli organizzatori musicali) offrire occasioni per attrarre nuovo pubblico e dar gli strumenti per una migliore comprensione dei significati emotivi della musica. Nel mio caso, per questo cerco di inventare formule nuove, come quella del confronto con il robot, o dell'incontro con Elio sul repertorio operistico. Spesso la musica classica non piace solo perché non si hanno i codici per comprenderne il messaggio, o perché si è vittima di pregiudizi basati sulle apparenze.

 

Le faccio una domanda in qualche modo collegata con la precedente. Quando c'è un bravo divulgatore come lei, nel senso più nobile del termine, i teatri si riempiono di ragazzi desiderosi di cogliere quelle bellezze che magari per svogliatezza non avevano mai avvicinate prima. Non le pare questa una bella cosa in un'epoca di "mordi e fuggi", dove i mezzi di comunicazione telematici danno l'illusione di poter facilmente raggiungere un livello di cultura che in realtà bisogna conquistarsi?

Oggi viviamo in un mondo in cui la cultura spesso è confusa con il puro dato informativo. Come è ovvio, non basta leggere la voce Wikipedia di Beethoven per capire la sua musica. Ma, aggiungo, proprio la musica classica richiede un'esperienza dal vivo, basata sul contatto umano e personale, che nessuna tecnologia potrà mai del tutto sostituire. E oggi, in un'epoca in cui il virtuale rischia di prendere il posto del reale, ascoltare un concerto di musica classica dal vivo può essere un'esperienza incredibilmente salutare e riequilibrante.

 

Mi consenta un'ultima domanda maestro: c'è un qualcosa che avrebbe voluto fare e che invece non è riuscito a realizzare? Un sogno riposto in un cassetto di cui ha perso la chiave?

Alla soglia dei 40 anni, mi considero molto soddisfatto per i sogni che ho realizzato (non solo nel campo professionale), e sono stato molto fortunato per avere trovato le condizioni favorevoli per concretizzare molti progetti, anche quelli più insoliti. Ho ancora molte altre idee che vorrei sviluppare, ma non esistono chiavi perdute: piuttosto, dico che alcune chiavi le sto ancora cercando, e sono certo che prima o poi, quando sarà tempo, affioreranno.