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Pensieri brevi
Pensieri brevi
Nel suonare il pianoforte è molto importante essere sempre consapevoli di dove e come le nostre dita si muovono. Sembrerebbe un'ovvietà, ma non lo è: spesso capita, anche ai professionisti, che il lavoro dell'esecutore diventi quello di un “domatore di dita”, quasi a dover contrastare una loro tendenza a muoversi ed agire indipendentemente dalla nostra volontà.
In concerto o in situazioni di particolare tensione (esami, audizioni, registrazioni), in effetti, il sistema nervoso funziona diversamente, e potrebbe facilmente entrare in campo un regime di “emergenza”, in cui riaffiorino abitudini o tensioni muscolari che normalmente non appaiono nello studio domestico.
Per prevenire questo e per mantenere un controllo adeguato e sereno del nostro sistema muscolare e mentale durante l'esecuzione musicale, è fondamentale la preparazione nello studio quotidiano.
Ciò che facciamo nelle ore che ogni giorno dedichiamo alla pratica dello strumento determinerà il nostro rendimento. La fortuna e le circostanze imprevedibili hanno certamente un ruolo nella riuscita di un concerto, ma la loro influenza può essere più o meno controllata proprio in base alla stabilità e alla sicurezza che abbiamo guadagnato grazie allo studio preparatorio.
Durante i miei corsi ho appurato che gran parte degli studenti non hanno un metodo di studio, né si pongono il problema di come studiare. Lo studio viene spesso sostituito da una mera ripetizione di un brano da capo a fondo, magari senza individuare i problemi, e, quindi, senza risolverli. Oppure, al contrario, si riduce in una metodica ma sterile ripetizione di passaggi tecnici a velocità ridotte, con o senza l'uso del metronomo, o attraverso varianti ritmiche o di accentuazione.
Tutte queste prassi non sono né giuste né sbagliate a priori: possono anche far parte delle fasi preparatorie di un concerto, ma da sole certamente non bastano a garantirci un controllo e una consapevolezza sufficiente per gestire al meglio l'esecuzione musicale dal vivo.
Cosa fare, dunque, quando si studia un brano? Ciò che io suggerisco è di fare sempre attenzione sin dall'inizio dell'apprendimento di un nuovo brano, a dove “mettiamo le dita”, e a verificare il risultato sonoro con un continuo feedback di ascolto. Mi spiego: è fondamentale visualizzare mentalmente, qualche istante prima di suonare, la posizione della mano sulla tastiera, e prefigurarsi il suono (la qualità del suono: dinamica, attacco, articolazione) anticipatamente. In tal modo, ogni suono sarà adeguatamente “voluto” e preparato con la giusta attenzione. Viceversa, può accadere di arrivare troppo tardi, impreparati, all'emissione di un suono, ed è in questi casi che aumenta il rischio di errore: e per errore non si intende solo una nota sbagliata, ma anche un suono che non corrisponda a quello che noi vorremmo. Facendo un passo indietro, è quindi fondamentale che ogni suono sia già perfettamente messo a fuoco nella mente dell'interprete, sia nelle sue caratteristiche musicali, sia nelle modalità fisiche per ottenerlo. Qui entrano in campo la posizione della mano, l'assetto del braccio, la parte del dito e il tipo di leva che useremo (l'ultima falange, l'intero dito, l'intera mano, l'avambraccio o il braccio) e il movimento dell'intero sistema braccio-mano-dita, a disegnare un gesto tecnico che corrisponda alle nostre intenzioni musicali.
Non è possibile spingersi oltre in particolari tecnici in questa sede, senza l'aiuto di una dimostrazione pratica, ma possiamo analizzare solo un ultimo dettaglio. Partiamo da un assioma incontrovertibile: ogni nota sbagliata è dovuta al fatto che il dito non si trova sul tasto giusto al momento di suonarla. Anche questa pare una ovvietà, ma tuttavia la maggior parte delle note errate potrebbe essere evitata se solo facessimo in modo che ogni dito sia esattamente dove noi vogliamo. Ossia, per tornare al discorso iniziale, non lasciamo che le dita si posizionino sui tasti in modo casuale, e non controllato da noi. Quando osservo giovani studenti suonare, spesso posso facilmente prevedere le note che sbaglieranno ancor prima che essi le suonino: semplicemente perché vedo che hanno le mani in un assetto che non consentirà di abbassare il tasto nei tempi e nei modi necessari. In questo senso, suonare il pianoforte richiede un'attenzione simile a quella di uno sciatore di slalom, o di un pilota di formula uno: in entrambi i casi, è necessario, come dicevamo, prevedere con congruo anticipo ogni spostamento di assetto, ogni cambio di direzione, ed essere con la mente sempre avanti rispetto al luogo che stiamo percorrendo. Il tipico errore dello slalomista è di arrivare in ritardo a una curva, non avendo spostato l'assetto del bacino in tempo per la curva seguente. Bene, questa è una perfetta metafora per ciò che accade quando suoniamo il pianoforte, in passaggi rapidi o con doppie note, in cui è fondamentale una particolare attenzione all'ascolto del corpo: dove stiamo mettendo il peso, che tipo di leva stiamo usando, quanto tempo abbiamo per portare le dita sulla loro prossima posizione.
Si potrà obiettare: ma la musica deve preservare anche l'aspetto della spontaneità e dell'estemporaneità, non possiamo ricondurre un'esecuzione al totale controllo muscolare e delle posizioni sulla tastiera. Sono pienamente d'accordo anch'io: nel concerto dal vivo dobbiamo avere l'agio necessario per abbandonarci alla musica, senza pensare a tutti gli aspetti legati al controllo; e proprio per giungere a questo risultato è importante che nello studio quotidiano, viceversa, la nostra mente e il nostro corpo imparino a gestire al meglio tutti i parametri dell'esecuzione, così che assumano i necessari automatismo per consentirci un'interpretazione intensa, coinvolgente, entusiasta.
Roberto Prosseda