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Registrazioni e chirurgia plastica

Oggi si discute molto sul senso delle registrazioni musicali. Come cambia l’approccio dell’interprete, se egli suona in studio di incisione piuttosto che in concerto? È giusto suonare in modo differente, o invece l’incisione dovrebbe essere una “istantanea” di una esecuzione dal vivo, in cui le piccole imperfezioni debbano essere lasciate? I punti di vista sono diversi e spesso opposti. C’è chi, come il pianista Grigory Sokolov, autorizza solo la pubblicazioni di CD che riportino esecuzioni dal vivo senza alcuna modifica, lasciando quindi anche le (poche) sbavature inevitabili in un concerto live.

C’è perfino chi si spinge a sostenere che gli interventi di editing in post produzione siano paragonabili alle operazioni di chirurgia plastica: mirano ad ottenere una presunta, ideale perfezione, che rischia però di snaturare la spontaneità e la profondità dell’espressione stessa.

A mio parere, la sempre maggiore possibilità di intervenire con software di audio editing per “migliorare” le esecuzioni ed eliminare le imperfezioni non è necessariamente un problema che mette a repentaglio la sincerità dell’espressione. Tutto dipende, naturalmente, dalle premesse e dagli obiettivi di chi decide di incidere un disco. Spesso l’obiettivo non è strettamente connaturato al messaggio musicale: ma se lo scopo finale è solo quello di dimostrare che si è in grado di suonare in modo impeccabile, già si vanifica l’impresa nelle premesse.

Del resto, se pensiamo ai grandi interpreti di musica classica (e non solo), quasi tutti quelli che sono rimasti nella storia dell’interpretazione lo hanno fatto grazie alle loro incisioni, più che con i concerti dal vivo. Ciò perché le incisioni hanno una vita più lunga. Gli eventi live possono perdurare solo nel ricordo, ma difficilmente il ricordo è tramandabile tra le generazioni, a meno che non sia, appunto, registrato. Il concerto è un modo per prolungare la vita di un disco, per estenderne il messaggio con la condivisione dal vivo. Inoltre, il disco, a differenza del concerto, rappresenta un messaggio in cui l’artista si riconosce a pieno, almeno nei casi in cui il CD sia autorizzato dal musicista che lo ha inciso. Per questo ritengo, d’accordo con Glenn Gould, che l’incisione di una performance musicale sia un’opera che ha un suo alto valore artistico, anche superiore ad un concerto dal vivo, ma solo nel caso in cui riesca ad esprimere un’idea poetica precisa e coincidente con quella dell’interprete.

Dal mio personale punto di vista, posso testimoniare che i moderni strumenti di post produzione del suono sono, appunto degli “strumenti”: possono essere messi al servizio delle proprie intenzioni musicali, quando non se ne abusa, per dare all’interprete l’agio sufficiente a tentare le strade migliori per dar vita alle proprie idee musicali. Viceversa, in mancanza delle idee, anche un’esecuzione senza tagli, da “percorso netto”, risulterà del tutto sterile.

Dunque ciò che più conta per un interprete è avere un’idea forte, convinta e radicale della propria visione del brano. Senza di questa, un’esecuzione “perfetta” dal punto di vista della correzione testuale non avrà comunque alcuna ragion d’essere, al di là di egocentrismi e narcisismi. Viceversa, quando l’idea poetica è forte e ben definita, potrà giungere efficacemente anche nel concerto dal vivo, e non sarà certo una sbavatura a minarne l’intensità.


Roberto Prosseda