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In occasione del bicentenario della nascita di Charles Gounod il Palazzetto Bru Zane si propone di far conoscere al meglio un musicista che non è stato solamente l’autore del Faust e di Roméo et Juliette, riuscendo a restituire le proprie più intime suggestioni oltre i confini dell’epoca in cui ha vissuto. Dall’inaugurazione del 7 e 8 aprile alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista l’idealismo di questo artista connoterà tutti i concerti lungo l’arco del mese, ‘sconfinando a maggio’. Tra gli interpreti più attesi della sua straordinaria musica il grande pianista Roberto Prosseda, protagonista il 20 aprile al Palazzetto. Lo abbiamo incontrato per un programma di sala ad ampio raggio.
Chi è per lei Charles Gounod e come si è avvicinato alla sua musica?
Ho avuto modo di conoscere l’opera di Charles Gounod attraverso l’uso del pedal piano, strumento che utilizzo ormai da quasi un decennio e che in francese viene chiamato piano pedalier. Il motivo che mi ha spinto a studiarlo e ad avvicinarmi poi al concertismo è stata la scoperta del manoscritto inedito del Concerto per piano pedalier e orchestra proprio di Gounod, spartito che ho avuto modo di studiare e successivamente registrare grazie alla stretta collaborazione con il Palazzetto Bru Zane, che mi ha assistito sia dal punto di vista scientifico e musicologico, nel reperimento delle parti dell’edizione critica, sia dal punto di vista produttivo, nel disco e in diversi concerti. Una volta esaurito il repertorio di brani per piano pedalier e orchestra di Gounod, con la registrazione nel 2012 dei quattro pezzi in prima asssoluta con l’Orchestra della Radio Svizzera Italiana diretta da Howard Shelley, mi sono incuriosito sulla produzione di Gounod per pianoforte ‘normale’ e mi sono reso conto di come questo artista rappresenti una figura di sicuro trascurata, almeno nella sua produzione pianistica e sinfonica. Troppo spesso ci si limita ad eseguire il suo Faust o il suo Roméo et Juliette tralasciando colpevolmente il resto. Ho pensato quindi di prendere la palla al balzo, anche in occasione di una ricorrenza importante come il bicentenario della sua nascita, registrando un disco con la Decca dedicato alla sua produzione pianistica.
Nel concerto che lo vedrà protagonista il 20 aprile vi è un collegamento con Mendelssohn, che per primo usò il titolo di Romance sans parole. In che modo ritiene che Gounod e Mendelssohn possano essere accostati l’uno all’altro?
Ci sono interessanti coincidenze che avvicinano Gounod all’Italia e a Mendelssohn. Il compositore a cui Bru Zane dedica il Festival ha infatti vissuto a Roma ed è stato vicino ad ambienti ecclesiastici; non a caso l’inno nazionale del Vaticano è proprio la Marcia Pontificale di Gounod. A Roma poi conosce la sorella di Félix Mendelssohn, Fanny, che lo introduce alla musica di Bach, nello specifico con Il clavicembalo ben temperato che qualche anno dopo, con il Preludio No. 1 in do maggiore, costituirà il nucleo melodico del canto dell’Ave Maria di Gounod stesso. Charles Gounod può essere a pieno titolo considerato il “Mendelssohn francese”, anche perché grazie alla conoscenza con Fanny la sua produzione pianistica risulta in qualche modo collegata a quella del fratello Felix, a partire dalle sei Romance sans parole, titolo che proprio Mendelssohn utilizzò per primo e che io ho inserito nel disco in prima esecuzione assoluta, caratterizzate da un lirismo terso, mai esagerato o sopra le righe. Altro aspetto che lega indissolubilmente i due compositori è appunto l’amore per Bach e per il contrappunto, che si traduce poi in una scrittura chiara e trasparente. Entrambi, poi, hanno scritto 6 Preludi e Fuga per pianoforte. Tutti questi elementi ci fanno capire come Gounod possa quindi davvero essere definito il “Mendelssohn francese” e come, di riflesso, il mio percorso personale si sia anch’esso intrecciato naturalmente con il protagonista del Festival del Palazzetto Bru Zane proprio grazie al ruolo centrale che Mendelssohn ricopre all’interno della mia carriera. Mi è sembrato naturale, quindi, spostare la mia attenzione su un compositore come Gounod, così capace di condividere le suggestioni di Mendelssohn in direzioni nuove e originali.
Quale repertorio ascolteremo il 20 aprile?
C’è un terzo compositore che ho voluto includere nel programma oltre a Mendelssohn e Gounod: Gioachino Rossini. Può sembrare un accostamento azzardato per un musicista conosciuto principalmente per la sua produzione operistica e non certo per quella dedicata al pianoforte, ma è un azzardo che svanisce quando ci si rende conto di come anche alcune sfumature della produzione di Rossini, di fatto poco approfondite, presentino delle affinità sia con lavori di Gounod che di Mendelssohn. Come questi due compositori, infatti, anche Rossini ha scritto dei lavori ambientati a Venezia, aspetto che rende il programma del concerto su misura per la città lagunare. Di Mendelssohn eseguirò una Gondoliera, scritta proprio a Venezia nel 1830, di Gounod La veneziana, barcarolle pour piano musicalmente molto simile al pezzo di Mendelssohn, mentre di Rossini eseguirò un brano intitolato La laguna di Venezia, a suo modo una barcarola, in cui l’autore ironicamente in corrispondenza di un abbassamento di tono indica: «La laguna si abbassa di mezzo tono…», con ovvio riferimento al fenomeno dell’acqua alta. Di Rossini e Gounod suonerò anche dei valzer che dimostrano come e quanto questo genere musicale venga fatto proprio dai due compositori. Mi sembrava interessante, insomma, far vedere al pubblico come i punti di contatto tra artisti apparentemente distanti siano invece ben visibili e come questi artisti, che in fondo hanno condiviso l’Ottocento, abbiano tutti considerato il pianoforte come strumento di assoluta centralità nel proprio percorso compositivo.
A precedere l’esibizione la presentazione del suo nuovo cd. Di che progetto si tratta?
Si intitola Charles Gounod: Piano works e viene pubblicato il 6 aprile. Di fatto è l’unico disco esistente dedicato alla produzione pianistica di Gounod. Da quel che mi risulta, infatti, esistevano solo alcune edizioni francesi degli anni ’70 e ’80 che attualmente risultano fuori commercio. Trovo che sia il momento giusto per rendere disponibili questi brani per il pubblico in un cd che dura circa 75 minuti, realizzato in collaborazione con il Palazzetto Bru Zane e pubblicato da Decca. Sono molto contento che venga distribuito in tutto il mondo, proprio per fare in modo che il più ampio pubblico possibile possa venire a conoscenza di un repertorio tanto prezioso quanto difficile da reperire. Le tracce rappresentano il 90% della produzione di Gounod in questo ambito e restituiscono sicuramente i suoi lavori più importanti, tra cui le Romance sans parole di cui abbiamo parlato e brani celeberrimi come la già citata Ave Maria, nella versione originale intitolata Méditation sur le Premier Prélude de Piano de S. Bach, o la Marche funèbre d’une marionnette, che tutti noi conosciamo come la sigla del ciclo televisivo Alfred Hitchcock presenta. Tutti conosciamo questa musica, appunto, ma nessuno sa che l’ha scritta Gounod e che la versione originale era per pianoforte solo. Il cd è completato poi da una Sonata per pianoforte a quattro mani, anche questa inedita e in prima esecuzione assoluta, scritta da un Gounod non ancora trentenne, che eseguo assieme a Enrico Pompili, collaborazione a cui tengo molto e che mi permette di far risaltare ancora una volta i tanti punti di affinità con Mendelssohn, per trasparenza e vitalità ritmica sprigionate. Credo e sono convinto che questo cd possa colmare una lacuna.
Come è iniziata la sua collaborazione con Palazzetto Bru Zane?
È nato tutto dal piano pedalier e dalla mia attenzione rivolta alla musica di Gounod. Precisamente dal 2011, quando ho suonato questo strumento in pubblico assieme alla Filarmonica Toscanini di Parma proponendo il Concerto per pianoforte con pedaliera, poi rieseguito anche con i Berliner Symphoniker in un progetto concepito proprio assieme al Palazzetto Bru Zane. Dopo aver collaborato con l’Orchestra della Radio Svizzera ho potuto approfondire la mia consocenza di Gounod grazie alle intuizioni di Bru Zane e al suo atteggiamento anticommerciale, capace di rivolgere l’attenzione ad aspetti musicologicamente meritevoli e di qualità. Un centro come il Palazzetto Bru Zane è un punto di riferimento assoluto per tanti musicisti, me compreso. Personalmente non avrei mai intrapreso un progetto del genere se non avessi potuto contare sull’appoggio di uno staff scientifico tanto qualificato, così ben coordinato dal direttore Alexandre Dratwicki.
Lei affianca alla carriera artistica una fitta attività di promotore culturale, con progetti rivolti ai giovanissimi e caratterizzati da allestimenti spiccatamente multimediali. Quale pensa debba essere la strada da seguire nella trasmissione della musica classica ai più giovani, aspetto tanto caro anche al Palazzetto Bru Zane?
Mi piace molto l’uso del termine ‘trasmissione’, proprio perché esprime il concetto di rendere comprensibile un linguaggio a chi per diversi motivi rischia di non poterlo più capire e afferrare. Si tratta di un problema reale ed urgente, per la cui soluzione vale di sicuro la pena spendersi ed impegnarsi. Credo sia necessario inventare nuovi format che possano risultare accattivanti per un pubblico sempre più ampio e trasversale, cercando di coinvolgere il numero più alto possibile tra le persone che mai entrerebbero in una sala da concerto o mai comprerebbero un disco di musica classica. Le iniziative portate avanti da Bru Zane, penso ad esempio ai Concerti per famiglie e ai laboratori dedicati ai più piccoli, da questo punto di vista colpiscono di sicuro nel segno. Personalmente cerco di rendere la musica comprensibile e addirittura divertente attraverso iniziative particolari, come quando ho coinvolto un inedito robot-pianista come dialettico interlocutore di una lezione-concerto sull’espressione musicale alla tastiera. Teo Tronico, ideato e progettato da Matteo Suzzi e realizzato dalla Start-Up TeoTronica di Imola, è un robot dotato di 53 dita in grado di riprodurre qualsiasi file Midi su un normale pianoforte acustico, sia riproducendo le partiture letteralmente che replicando interpretazioni di grandi pianisti, tratte dai rulli di pianola. Un progetto di questo tipo serve a farci capire come la musica faccia parte del nostro vivere quotidiano e non rappresenti un ambito meramente elitario della nostra cultura, come da essa tutti noi possiamo ricavare benessere autentico. Come in ambito culinario un buon bicchiere di Brunello può allenarci a migliorare la nostra sensibilità gustativa, così la musica classica di qualità può far bene alle nostre orecchie e alla nostra anima. Un pubblico più consapevole chiederà musica di livello sempre più alto, spingendo anche noi musicisti a migliorarci ogni giorno di più.