Interview with Luisa Sclocchis, Amadeus, 5/2016
Il pianoforte? «Uno strumento, in tutti i sensi. Un mezzo e non il fine. Non il punto di arrivo. Come tutte le cose, più lo conosco nei minimi dettagli, più riesco a sfruttarlo al meglio e, al contempo, a dimenticarmene per concentrarmi sulla musica». Queste le parole di Roberto Prosseda, pianista dal multiforme ingegno. Non per niente è stato definito “The multitasking pianist”. Una figura non stereotipata di musicista, insomma. Affermato solista, si esibisce nelle più prestigiose sale da concerto, vincitore di numerosi premi discografici, ma anche operatore culturale, dedito alla ricerca, alla divulgazione e alla creazione di progetti speciali. Reduce dalla notorietà internazionale guadagnata con l'incisione integrale pianistica di Mendelssohn per la Decca, tiene regolarmente concerti con il pedal piano, strumento riportato alla luce dopo un secolo di oblio. Ci racconta di sé e della sua ultima incisione, i primi due CD dell'integrale delle Sonate di Mozart, Sonate n. 1-6, KV 279-284, uscite lo scorso 15 aprile 2016 per Decca.
L'integrale delle Sonate di Mozart: su questa scelta di repertorio?
«Mozart è stato il primo compositore che io ho suonato, il mio “imprinting” musicale. Avevo tre anni, e imparai a leggere le note prima ancora di saper leggere le lettere. Mi ha da sempre attratto la sua musica, verso cui sento una particolare affinità e da anni avevo in mente di incidere le Sonate. Lo scorso anno ho terminato il progetto decennale dedicato all'incisione integrale della musica pianistica di Mendelssohn per la Decca. Passare da Mendelssohn a Mozart mi è parsa quindi una scelta naturale. Sono tanti, infatti, gli aspetti che accomunano questi due compositori: non solo la loro eccezionale precocità, ma anche la speciale trasparenza della scrittura e la spontaneità dell'invenzione tematica. La differenza, dal punto di vista discografico, è che della musica pianistica di Mendelssohn non esisteva ancora una incisione completa, mentre di quella di Mozart abbiamo molte belle registrazioni, anche se, a ben vedere, sono meno frequenti di quanto si possa pensare. Ad esempio, credo che nessun pianista italiano si sia ancora cimentato nell'incisione completa delle Sonate».
La sua lettura di Mozart e l'importanza dell'approccio filologico.
«Troppo spesso la musica di Mozart è limitata da un approccio inutilmente decorativo, dove la cura del dettaglio o del bel suono rischia di essere fine a se stessa. Nella mia lettura ho cercato di riscoprirne la modernità e la freschezza, basandomi sulle indicazioni che lo stesso Mozart scrive in partitura: abbondano i contrasti dinamici, gli sforzati, i rapidi cambi di articolazione. Tutto ciò si traduce in una vasta gamma di stati d'animo che questa musica deve esprimere, anche a 200 anni dalla sua creazione. Non sono un “integralista” della filologia (uso, infatti, un pianoforte moderno), ma concordo con molti filologi sull'importanza di ritrovare la freschezza e la drammaticità nelle interpretazioni dei classici, partendo, naturalmente, dal testo e dallo studio delle convenzioni dell'epoca».
Dall'idea di incidere le Sonate su fortepiano dell'epoca di Mozart alla scelta del pianoforte moderno Fazioli.
«È stato fondamentale per me suonare Mozart su fortepiani del suo tempo. Mi ha permesso di scoprire effetti timbrici ed espressivi che sono connaturati con le caratteristiche di quegli strumenti. Ho anche pensato di incidere le Sonate su un fortepiano, ma, dopo varie prove, ho capito che sul pianoforte moderno, che suono da quasi 40 anni, riesco ad esprimermi con maggiore naturalezza. E poi mi sono chiesto: se Mozart tornasse a vivere oggi, suonerebbe le sue Sonate su un fortepiano di oltre 200 anni di età, o su un Fazioli nuovissimo? Non lo possiamo sapere. Forse preferirebbe usare sintetizzatori elettronici, chissà... La mia scelta, alla fine, è stata quella di evocare la freschezza e gli effetti espressivi di origine fortepianistica su un pianoforte nuovissimo, un Fazioli F 278 costruito nel 2015. Questo strumento ha una trasparenza e una vivacità che mi hanno affascinato e consentito di restituire la poetica mozartiana con una naturale vitalità che su altri pianoforti sarebbe stata più difficile da ricreare. Inoltre, la meccanica è di estrema sensibilità e precisione, e permette di giocare con le microdinamiche anche nei trilli e negli ornamenti, ottenendo una notevole varietà espressiva».
Le peculiarità dell'accordatura “storica” secondo il temperamento non equabile “Vallotti”.
«L'accordatura è un dettaglio spesso sottovalutato. Il particolare timbro degli strumenti storici è spesso dato anche dal fatto che essi sono accordati non con il temperamento equabile (che prevede la divisione dell'ottava in dodici semitoni uguali), ma con temperamenti inequabili, che consentono di differenziare maggiormente gli intervalli. Così ogni tonalità, ogni accordo, assume una specifica connotazione timbrica e, oserei dire, emozionale. Quando si modula da una tonalità all'altra, si avverte chiaramente il passaggio da un luogo emotivo all'altro. Ciò mi ha consentito di vivere ogni armonia con maggiore immedesimazione, e spero che ciò accada anche all'ascolto. Non sappiamo con esattezza che tipo di temperamento usasse Mozart, visto che non abbiamo testimonianze precise in proposito. Tuttavia, credo che il temperamento Vallotti sia uno dei più plausibili e dei più compatibili con le tonalità delle Sonate mozartiane».
Affermato solista e camerista, una ricca attività concertistica e un’altrettanto rilevante produzione discografica. Cosa, a suo avviso, consente di distinguersi nel mercato odierno?
«Oggi è sicuramente fondamentale avere delle motivazioni forti e profonde nel fare musica. Non tanto per avere successo ma soprattutto per star bene con se stessi, che è la cosa più importante. Poi il successo, magari, arriva come piacevole effetto collaterale. Del resto, più crediamo in quello che facciamo, più siamo entusiasti delle nostre scoperte musicali e più riusciamo a coinvolgere anche il pubblico. Non credo nei calcoli e nelle strategie commerciali, e la parola “mercato” in questo contesto rischia di essere fuorviante. Quando suono, non penso che sto “vendendo” un prodotto, né un “servizio” ma che sto condividendo con altre persone qualcosa che mi piace tantissimo e che vorrei scoprissero. Da giovane, come quasi tutti, ero troppo focalizzato su me stesso, sulla vittoria di un concorso o sulla ricerca del successo come fine primario del mio studio. Così non riuscivo a vivere la musica con naturalezza. Oggi, invece, la musica è un'occasione per vivere più intensamente, e mi considero molto fortunato perché la mia professione mi consente di fare qualcosa che mi piace molto. Forse con questo non ho dato una risposta chiara alla domanda sul “come distinguersi”. Il punto è che non faccio nulla di speciale per distinguermi, almeno nelle mie intenzioni. Ma ognuno di noi è diverso dagli altri, e basta essere se stessi e liberarsi dai condizionamenti esterni per distinguersi».
Spazia dai “grandi classici” alla “nuova musica”, una visione della musica a tutto tondo?
«Ogni compositore, quando scriveva un nuovo brano, era un compositore di musica contemporanea. E il senso di “nuovo” non dovrebbe mai svanire, anche se suoniamo musica scritta tre secoli fa. Nella mia personale esperienza, avere studiato molta musica di oggi, spesso collaborando con i compositori, mi è servito per affinare un approccio...filologico. Quella libertà, quella sensazione di scoperta che si prova quando si suona un brano contemporaneo in prima esecuzione è qualcosa che dovremmo provare sempre, anche quando risuoniamo per l'ennesima volta una Sonata di Mozart».
Come immagina il futuro della musica classica?
«Con il progresso tecnologico e delle piattaforme musicali online, certamente cambierà ancora il modo di fruizione della musica, anche di quella classica. Nasceranno nuovi format di ascolto, anche dal vivo, ma la sostanza della musica rimarrà la medesima. Non so se il recital pianistico, nella forma in cui ancora sopravvive, peraltro inventata da Liszt non prima del 1839, resterà tale. Mi affascina, invece, la possibilità offerta dalle soluzioni multimediali (penso anche alla projection-mapping o agli ologrammi) di “aumentare” l'esperienza di ascolto dal vivo attraverso le nuove tecnologie. Non credo che ciò sia strettamente necessario, ma potrebbe aiutare il pubblico a sentirsi maggiormente coinvolto nell'ascolto. Del resto, se Liszt vivesse oggi, sarebbe sicuramente affascinato dalle possibilità spettacolari dei nuovi mezzi multimediali. Viceversa, comunque, il concerto dal vivo, diretto, senza filtri tecnologici, non potrà essere sostituito da surrogati elettronici. Io stesso faccio largo uso di YouTube e ascolto la musica in streaming, anche live, ma so bene che le emozioni e il contatto umano che avviene dal vivo è qualcosa di molto più intenso, e di insostituibile».
Suggerimenti per giovanissimi che intraprendano oggi la carriera pianistica?
«Vorrei dare tre consigli semplici, validi per tutti i musicisti (e non solo).
Primo: chiedersi “perché suono”? Riflettere sulle proprie motivazioni, e prenderne profonda consapevolezza, è sicuramente un buon punto di partenza.
Secondo: mettersi nei panni di chi ci ascolta. Noi siamo i primi ascoltatori di noi stessi. Registrarsi, riascoltarsi e confrontarsi con altri interpreti è sempre un momento di crescita.
Terzo: pensare che la musica è un dono. Ogni concerto è un'occasione per dare qualcosa di noi agli altri. Se mettiamo la musica al centro, e non noi stessi (non il nostro narcisismo, né le nostre paure), tutto andrà al meglio».
Gli ottantotto tasti nella sua vita...
«Sono una sorta di estensione del nostro io: ci aiutano a trasmettere le nostre emozioni all'esterno. Ora li vivo così ma anni fa ero troppo influenzabile dalle condizioni in cui trovavo il pianoforte su cui dovevo suonare: se non era perfettamente regolato, ciò mi rendeva ansioso, e limitava il mio rendimento. Ora cerco di adattarmi io allo strumento che trovo, e di pensare che il pianoforte che ho sotto le dita sia il migliore del mondo. Ciò mi aiuta ad “ascoltarlo” meglio e a creare un'intesa più armonica».
Progetti imminenti?
«Sono in partenza per un tour di dieci concerti in Corea del Sud. Poi, a fine maggio, ripartirò per un altro lungo tour in Centro America. Da metà giugno riprenderò a suonare anche in duo pianistico con mia moglie, Alessandra Ammara, che rientrerà dopo una pausa per la nascita del nostro terzo figlio. Con lei, in estate porterò in concerto il Sogno di una notte di mezza estate nella versione di Mendelssohn per pianoforte a quattro mani, con i testi di Shakespeare, adattati da Fabio Tognetti e recitati dall'attore Pietro Ghislandi. Sul versante discografico, procederò con lo studio e l'incisione delle successive Sonate di Mozart, senza trascurare i Concerti di Mendelssohn per pianoforte e orchestra, che conto di incidere nel 2017».
l pianoforte? «Uno strumento, in tutti i sensi. Un mezzo e non il fine. Non il punto di arrivo. Come tutte le cose, più lo conosco nei minimi dettagli, più riesco a sfruttarlo al meglio e, al contempo, a dimenticarmene per concentrarmi sulla musica». Queste le parole di Roberto Prosseda, pianista dal multiforme ingegno. Non per niente è stato definito “The multitasking pianist”. Una figura non stereotipata di musicista, insomma. Affermato solista, si esibisce nelle più prestigiose sale da concerto, vincitore di numerosi premi discografici, ma anche operatore culturale, dedito alla ricerca, alla divulgazione e alla creazione di progetti speciali. Reduce dalla notorietà internazionale guadagnata con l'incisione integrale pianistica di Mendelssohn per la Decca, tiene regolarmente concerti con il pedal piano, strumento riportato alla luce dopo un secolo di oblio. Ci racconta di sé e della sua ultima incisione, i primi due CD dell'integrale delle Sonate di Mozart, Sonate n. 1-6, KV 279-284, uscite lo scorso 15 aprile 2016 per Decca.
L'integrale delle Sonate di Mozart: su questa scelta di repertorio?
«Mozart è stato il primo compositore che io ho suonato, il mio “imprinting” musicale. Avevo tre anni, e imparai a leggere le note prima ancora di saper leggere le lettere. Mi ha da sempre attratto la sua musica, verso cui sento una particolare affinità e da anni avevo in mente di incidere le Sonate. Lo scorso anno ho terminato il progetto decennale dedicato all'incisione integrale della musica pianistica di Mendelssohn per la Decca. Passare da Mendelssohn a Mozart mi è parsa quindi una scelta naturale. Sono tanti, infatti, gli aspetti che accomunano questi due compositori: non solo la loro eccezionale precocità, ma anche la speciale trasparenza della scrittura e la spontaneità dell'invenzione tematica. La differenza, dal punto di vista discografico, è che della musica pianistica di Mendelssohn non esisteva ancora una incisione completa, mentre di quella di Mozart abbiamo molte belle registrazioni, anche se, a ben vedere, sono meno frequenti di quanto si possa pensare. Ad esempio, credo che nessun pianista italiano si sia ancora cimentato nell'incisione completa delle Sonate».
La sua lettura di Mozart e l'importanza dell'approccio filologico.
«Troppo spesso la musica di Mozart è limitata da un approccio inutilmente decorativo, dove la cura del dettaglio o del bel suono rischia di essere fine a se stessa. Nella mia lettura ho cercato di riscoprirne la modernità e la freschezza, basandomi sulle indicazioni che lo stesso Mozart scrive in partitura: abbondano i contrasti dinamici, gli sforzati, i rapidi cambi di articolazione. Tutto ciò si traduce in una vasta gamma di stati d'animo che questa musica deve esprimere, anche a 200 anni dalla sua creazione. Non sono un “integralista” della filologia (uso, infatti, un pianoforte moderno), ma concordo con molti filologi sull'importanza di ritrovare la freschezza e la drammaticità nelle interpretazioni dei classici, partendo, naturalmente, dal testo e dallo studio delle convenzioni dell'epoca».
Dall'idea di incidere le Sonate su fortepiano dell'epoca di Mozart alla scelta del pianoforte moderno Fazioli.
«È stato fondamentale per me suonare Mozart su fortepiani del suo tempo. Mi ha permesso di scoprire effetti timbrici ed espressivi che sono connaturati con le caratteristiche di quegli strumenti. Ho anche pensato di incidere le Sonate su un fortepiano, ma, dopo varie prove, ho capito che sul pianoforte moderno, che suono da quasi 40 anni, riesco ad esprimermi con maggiore naturalezza. E poi mi sono chiesto: se Mozart tornasse a vivere oggi, suonerebbe le sue Sonate su un fortepiano di oltre 200 anni di età, o su un Fazioli nuovissimo? Non lo possiamo sapere. Forse preferirebbe usare sintetizzatori elettronici, chissà... La mia scelta, alla fine, è stata quella di evocare la freschezza e gli effetti espressivi di origine fortepianistica su un pianoforte nuovissimo, un Fazioli F 278 costruito nel 2015. Questo strumento ha una trasparenza e una vivacità che mi hanno affascinato e consentito di restituire la poetica mozartiana con una naturale vitalità che su altri pianoforti sarebbe stata più difficile da ricreare. Inoltre, la meccanica è di estrema sensibilità e precisione, e permette di giocare con le microdinamiche anche nei trilli e negli ornamenti, ottenendo una notevole varietà espressiva».
Le peculiarità dell'accordatura “storica” secondo il temperamento non equabile “Vallotti”.
«L'accordatura è un dettaglio spesso sottovalutato. Il particolare timbro degli strumenti storici è spesso dato anche dal fatto che essi sono accordati non con il temperamento equabile (che prevede la divisione dell'ottava in dodici semitoni uguali), ma con temperamenti inequabili, che consentono di differenziare maggiormente gli intervalli. Così ogni tonalità, ogni accordo, assume una specifica connotazione timbrica e, oserei dire, emozionale. Quando si modula da una tonalità all'altra, si avverte chiaramente il passaggio da un luogo emotivo all'altro. Ciò mi ha consentito di vivere ogni armonia con maggiore immedesimazione, e spero che ciò accada anche all'ascolto. Non sappiamo con esattezza che tipo di temperamento usasse Mozart, visto che non abbiamo testimonianze precise in proposito. Tuttavia, credo che il temperamento Vallotti sia uno dei più plausibili e dei più compatibili con le tonalità delle Sonate mozartiane».
Affermato solista e camerista, una ricca attività concertistica e un’altrettanto rilevante produzione discografica. Cosa, a suo avviso, consente di distinguersi nel mercato odierno?
«Oggi è sicuramente fondamentale avere delle motivazioni forti e profonde nel fare musica. Non tanto per avere successo ma soprattutto per star bene con se stessi, che è la cosa più importante. Poi il successo, magari, arriva come piacevole effetto collaterale. Del resto, più crediamo in quello che facciamo, più siamo entusiasti delle nostre scoperte musicali e più riusciamo a coinvolgere anche il pubblico. Non credo nei calcoli e nelle strategie commerciali, e la parola “mercato” in questo contesto rischia di essere fuorviante. Quando suono, non penso che sto “vendendo” un prodotto, né un “servizio” ma che sto condividendo con altre persone qualcosa che mi piace tantissimo e che vorrei scoprissero. Da giovane, come quasi tutti, ero troppo focalizzato su me stesso, sulla vittoria di un concorso o sulla ricerca del successo come fine primario del mio studio. Così non riuscivo a vivere la musica con naturalezza. Oggi, invece, la musica è un'occasione per vivere più intensamente, e mi considero molto fortunato perché la mia professione mi consente di fare qualcosa che mi piace molto. Forse con questo non ho dato una risposta chiara alla domanda sul “come distinguersi”. Il punto è che non faccio nulla di speciale per distinguermi, almeno nelle mie intenzioni. Ma ognuno di noi è diverso dagli altri, e basta essere se stessi e liberarsi dai condizionamenti esterni per distinguersi».
Spazia dai “grandi classici” alla “nuova musica”, una visione della musica a tutto tondo?
«Ogni compositore, quando scriveva un nuovo brano, era un compositore di musica contemporanea. E il senso di “nuovo” non dovrebbe mai svanire, anche se suoniamo musica scritta tre secoli fa. Nella mia personale esperienza, avere studiato molta musica di oggi, spesso collaborando con i compositori, mi è servito per affinare un approccio...filologico. Quella libertà, quella sensazione di scoperta che si prova quando si suona un brano contemporaneo in prima esecuzione è qualcosa che dovremmo provare sempre, anche quando risuoniamo per l'ennesima volta una Sonata di Mozart».
Come immagina il futuro della musica classica?
«Con il progresso tecnologico e delle piattaforme musicali online, certamente cambierà ancora il modo di fruizione della musica, anche di quella classica. Nasceranno nuovi format di ascolto, anche dal vivo, ma la sostanza della musica rimarrà la medesima. Non so se il recital pianistico, nella forma in cui ancora sopravvive, peraltro inventata da Liszt non prima del 1839, resterà tale. Mi affascina, invece, la possibilità offerta dalle soluzioni multimediali (penso anche alla projection-mapping o agli ologrammi) di “aumentare” l'esperienza di ascolto dal vivo attraverso le nuove tecnologie. Non credo che ciò sia strettamente necessario, ma potrebbe aiutare il pubblico a sentirsi maggiormente coinvolto nell'ascolto. Del resto, se Liszt vivesse oggi, sarebbe sicuramente affascinato dalle possibilità spettacolari dei nuovi mezzi multimediali. Viceversa, comunque, il concerto dal vivo, diretto, senza filtri tecnologici, non potrà essere sostituito da surrogati elettronici. Io stesso faccio largo uso di YouTube e ascolto la musica in streaming, anche live, ma so bene che le emozioni e il contatto umano che avviene dal vivo è qualcosa di molto più intenso, e di insostituibile».
Suggerimenti per giovanissimi che intraprendano oggi la carriera pianistica?
«Vorrei dare tre consigli semplici, validi per tutti i musicisti (e non solo).
Primo: chiedersi “perché suono”? Riflettere sulle proprie motivazioni, e prenderne profonda consapevolezza, è sicuramente un buon punto di partenza.
Secondo: mettersi nei panni di chi ci ascolta. Noi siamo i primi ascoltatori di noi stessi. Registrarsi, riascoltarsi e confrontarsi con altri interpreti è sempre un momento di crescita.
Terzo: pensare che la musica è un dono. Ogni concerto è un'occasione per dare qualcosa di noi agli altri. Se mettiamo la musica al centro, e non noi stessi (non il nostro narcisismo, né le nostre paure), tutto andrà al meglio».
Gli ottantotto tasti nella sua vita...
«Sono una sorta di estensione del nostro io: ci aiutano a trasmettere le nostre emozioni all'esterno. Ora li vivo così ma anni fa ero troppo influenzabile dalle condizioni in cui trovavo il pianoforte su cui dovevo suonare: se non era perfettamente regolato, ciò mi rendeva ansioso, e limitava il mio rendimento. Ora cerco di adattarmi io allo strumento che trovo, e di pensare che il pianoforte che ho sotto le dita sia il migliore del mondo. Ciò mi aiuta ad “ascoltarlo” meglio e a creare un'intesa più armonica».
Progetti imminenti?
«Sono in partenza per un tour di dieci concerti in Corea del Sud. Poi, a fine maggio, ripartirò per un altro lungo tour in Centro America. Da metà giugno riprenderò a suonare anche in duo pianistico con mia moglie, Alessandra Ammara, che rientrerà dopo una pausa per la nascita del nostro terzo figlio. Con lei, in estate porterò in concerto il Sogno di una notte di mezza estate nella versione di Mendelssohn per pianoforte a quattro mani, con i testi di Shakespeare, adattati da Fabio Tognetti e recitati dall'attore Pietro Ghislandi. Sul versante discografico, procederò con lo studio e l'incisione delle successive Sonate di Mozart, senza trascurare i Concerti di Mendelssohn per pianoforte e orchestra, che conto di incidere nel 2017». - See more at: http://www.amadeusonline.net/interviste/2016/roberto-prosseda-e-il-suo-mozart#sthash.r0ddttic.dpuf