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Piani Vibratili - Contemporary Italian Piano Works by Clementi, Panni, Solbiati and others

Paolo Arcà: 10 Bagatelle

Sergio Cafaro: Swing Piece

Aldo Clementi: B.A.C.H., Loure, Variazioni, Blues I, Blues II, Invenzione 4,

Michele Dall'Ongaro: Autodafè

Maurizio Furlani: Threnos

Ada Gentile: Trying

Massimo Lauricella: Nuances

Marcello Panni: Desire-Ragtime, Tangomix

Alessandro Solbiati: Interludi 1 - 5

 

Roberto Prosseda, Piano

Recorded at Teatro Sperimentale, Ancona, Italy, on August 2003.

 

Note di copertina

Le composizioni raccolte in questo CD, scritte fra il 1970 e il 2003, evidenziano alcuni elementi significativi della recente produzione pianistica italiana. Sono tutte accomunate da una scrittura che rispetta le caratteristiche meccaniche e le potenzialità  timbriche del pianoforte: questo strumento (certamente uno dei più "storicizzati") assume così notevoli doti evocative, facendo spesso affiorare sonorità  o modelli armonici derivanti da materiale preesistente. I brani, ordinati cronologicamente secondo l'anno di composizione, prevedono per l'interprete un ruolo particolarmente attivo. Ne deriva un vero piacere esecutivo, che ci si augura possa essere recepito anche all'ascolto.

Con B.A.C.H. (1970) Aldo Clementi inaugura la fase più recente del suo linguaggio compositivo, caratterizzata dall’uso di frammenti musicali diatonici. In questo caso il riferimento tematico è alla Fantasia BWV 906 in do minore di Bach, della quale sono utilizzate i quattro accordi iniziali e tre scale ascendenti. In B.A.C.H. queste tre scale sono disposte in tre diversi registri della tastiera, e vanno eseguite ciascuna con una diversa dinamica. Sovrapponendole in modo sfalsato e non uniforme, Clementi costruisce un particolare contrappunto, talmente rapido e pulviscolare da costituire un flusso sonoro indistinto (continuum). Da esso emergono di tanto in tanto delle note accentate, corrispondenti alle quattro note del criptogramma sul nome Bach (si bemolle - la - do - si). Il brano va eseguito il più rapidamente possibile e ripetuto almeno tre volte: nella presente esecuzione, esso è ripetuto sette volte. Ne deriva un particolare effetto ipnotico, in cui l’estrema rapidità e il moto pulviscolare determinano una nuova percezione del tempo e del suono stesso.

Trying (1980), di Ada Gentile, condivide con gli altri brani qui presenti l’attitudine a scavare nei significati reconditi del messaggio sonoro, esplorando strati profondi della memoria dell’ascoltatore. Il brano descrive simbolicamente il percorso evolutivo della musica per tastiera, dalle origini al tardo romanticismo. Esso è basato su sonorità particolarmente dilatate, e determina un’atmosfera quasi ipnotica, senza tempo. Dato il sensibile assottigliamento delle dinamiche e la notevole limitazione del materiale tematico, l’orecchio è portato a scoprire il fascino del silenzio, ad ascoltare lo spazio che divide i singoli suoni. Questo spazio assume un’importanza forse maggiore dei suoni stessi: una musica al negativo, quindi, in senso fotografico. In un mondo in cui spesso si ignora il valore e la presenza stessa del silenzio, Trying assume un particolare valore poetico ed estetico.

Nel caso dei due brani di Marcello Panni, le allusioni stilistiche sono invece rivolte alla musica d'oltreoceano dei primi del Novecento. In Tangomix (1984), come del resto s’intuisce dal titolo, 24 frammenti di tanghi argentini sono sovrapposti e “mixati” secondo un meccanismo di collage dai ritmi particolarmente brillanti. In Desire – Ragtime two-step (1987) gli stessi metodi citazionistici sono applicati a vari frammenti derivati dai rags di Joplin, tra cui spicca il celeberrimo Maple Leaf Rag. «La tecnica compositiva – spiega l’autore – è un misto di assemblage o di collage, di procedimenti automatici e citazioni involontarie. Sarebbe inutile enumerare tutte le ascendenze che vi traspaiono senza pudore». L’incessante rinnovarsi dei temi, pur nell’ambito dello stesso movimento “centrifugo”, determina un originale ed accattivante impasto sonoro, caratterizzato da notevole ironia e vitalità.

Threnos (1988), di Maurizio Furlani, è basato su un esplicito rimando stilistico e tematico. Il materiale di partenza, infatti, deriva da Nuages Gris, una delle ultime, più visionarie ed enigmatiche composizioni di Franz Liszt. Il carattere cupo ed inquieto del modello viene ancor più esaltato da una scrittura che acuisce i contrasti dinamici, grazie ad un uso efficace del pedale di risonanza. Il suono viene così plasmato e riplasmato come materiale magmatico, assumendo di volta in volta nuovi colori, e sempre riproponendo, con maggiore o minore somiglianza, le concatenazioni armoniche originarie. Ne risulta una musica inquieta ed ossessiva, che proprio nella forzata reiterazione delle stesse cellule, volutamente private di una ulteriore, più complessa rielaborazione, trova la propria forza espressiva. Threnos è dedicato alla memoria di Giampiero Francia.

Anche Michele dall’Ongaro in Autodafè (1989) sfrutta appieno le potenzialità evocative del pianoforte in un modo altrettanto efficace e suggestivo. La composizione è divisa in cinque movimenti, ognuno dei quali estremizza un diverso aspetto espressivo: attese e sospensioni (il primo), languore e sogno (il secondo: una ninna nanna su soli tasti bianchi), schizofrenia e isterismo (il terzo, che ricorda un pianista jazz impazzito), rintocchi di campane (il quarto), cluster e aggressività sfrenata (il quinto). L’autore paragona l’interpretazione di Autodafè ad un atto divinatorio o alla lettura dei tarocchi, per sottolineare il particolare rapporto che deve crearsi tra il pianista e la partitura. In tal senso quest’ultima, anche se scritta minuziosamente, può essere interpretata come un canovaccio, da cui l’esecutore prenda spunto per una propria rielaborazione il più possibile creativa ed individuale del messaggio artistico.

Nuances (1990) si compone di sei aforistici brani, ognuno dei quali, come una diapositiva, descrive ed esplora gli aspetti semantici di un determinato colore: nell'ordine, Azzurro e Lilla, Viola, Rosa, Bianco e Nero, Giallo e Arancione, Argento. Con il raffinato uso del pedale e delle vibrazioni per simpatia, Massimo Lauricella crea timbri particolarmente evocativi, stimolando l’interprete e l’ascoltatore ad un affascinante approfondimento dei rapporti di sinestesia e di relazioni intersensoriali. Anche in questi brani dominano le sonorità dilatate ed in stretto rapporto con lo spazio che le avvolge. Le numerose, variegatissime risonanze colorano il “paesaggio d’ascolto” di volta in volta in modo diverso ed esaltano il fascino dei singoli suoni, che spesso appaiono come macchie di colori in movimento. Nuances ha ottenuto il Grand Prix de Composition al Premier Rendez-vous du Piano en Creuse.

Le Dieci Bagatelle (1993) di Paolo Arcà sono pagine brevi ed aforistiche, ciascuna dedicata a patterns derivati dalla tradizione compositiva preesistente. Ritroviamo anche qui una poetica della sottrazione, che mira a ritagliare l’essenzialità espressiva preferendo sovente strutture semplici e di diretta intellegibilità. Come scrive l’autore, «si tratta di dieci piccoli quadretti dal colore essenziale, che realizzano un percorso emotivo in miniatura. Le immagini musicali, che si susseguono senza soluzione di continuità, sono caratterizzate da una scrittura trasparente e lieve». Facendo uso di sonorità sottili e di dinamiche limitate, spesso ai confini con il silenzio, questa musica invoglia ad un ascolto attento delle minime variazioni armoniche e timbriche, per restituire un fascino particolare anche a dettagli che in altri contesti passerebbero inosservati.

In Swing Piece (1993) Sergio Cafaro gioca con modelli musicali preesistenti, rifacendosi a vari esempi novecenteschi, dall’incisività ritmica di Stravinsky (specie nella parte iniziale) al particolare, inimitabile jazz di Bill Evans. Lo spirito di Bill Evans aleggia soprattutto nell’episodio centrale del brano, pur non essendovi citazioni letterali. Non si tratta neanche, però, di una semplice improvvisazione “alla Bill Evans”, dato che la scrittura è molto precisa e dettagliata e non prevede alcun tipo d’arbitrio esecutivo. Evidentemente, la lunga esperienza pianistica di Cafaro e la sua innata abilità a far rivivere in pochi istanti personalità di grandi compositori del passato (famose le sue fenomenali performances estemporanee “à la manière de”) si riflettono in questa composizione, pur in un impianto formale più predeterminato, articolato in una struttura tripartita.

Si rimane nell’ambito della citazione, ma in un contesto stilistico del tutto diverso, con tre composizioni di Clementi composte nel 1998 e nel 1999. Esse sono caratterizzate da un singolare uso della politonalità, che consente di ottenere una corrispondenza musicale con le illusioni ottiche dei piani pluriprospettici di Max Escher. In Loure (1998) la citazione è rivolta all'omonima danza, il cui ritmo ternario peraltro è nascosto dietro un contrappunto a tre voci, che ne offusca (poeticamente) i contorni. Il brano si articola in tre brevissimi movimenti, che ripropongono sempre più lentamente la stessa cellula, in sovrapposizioni sempre diverse. Le Variazioni (1999) si sviluppano in un contrappunto a quattro voci (peraltro mai simultanee), in cui lo stesso esacordo (fa - mi - re - do - si bemolle - la) è continuamente reiterato ad altezze diverse. Le dodici variazioni consistono in una diversa sovrapposizione delle voci, le quali sono via via più sfalsate fino a svanire una ad una, come un meccanismo stanco in via di disgregazione. In Vom Himmel hoch (1999) Clementi si rifà all'omonimo corale bachiano, le cui quattro voci vengono rielaborate con trasposizioni e aumentazioni sovrapposte, dando luogo ad otto diversi movimenti (ciascuno ripetuto in eco), di cui gli ultimi quattro non sono altro che il retrogrado dei primi quattro, secondo lo schema 1, 2, 3, 4, 4, 3, 2, 1.

Ognuno degli Interludi (2000 – 2002) di Alessandro Solbiati è dedicato ad una determinata “figura musicale”, ossia ad un particolare elemento ritmico, melodico, o timbrico, che viene esplorato nelle sue molteplici potenzialità espressive. Il primo Interludio è basato su sei accordi simili a rintocchi di campane, i quali vengono ripetuti in alternanza e sempre più piano, creando un suggestivo effetto spaziale. Il secondo Interludio, “Omaggio a Luis de Pablo”, cita una peculiare curva melodica dal sapore “flamenco” utilizzata dal celebre compositore spagnolo, in un ambito sonoro caratterizzato da particolari risonanze armoniche. Il terzo Interludio è interamente costruito su un contrappunto a due voci con note rapide e staccate, da cui si sviluppa un costante crescendo fino al fortissimo finale. Il quarto Interludio presenta una struttura più articolata: a sottili, tese linee melodiche ascendenti nel registro acuto, si alternano passaggi più ritmici e cadenzati, sempre con quella fluida, naturale cantabilità che caratterizza la poetica di Solbiati.

In Invenzione 4 (2003) Clementi adotta gi stessi procedimenti contrappuntistici dei suoi brani precedenti, reiterando una cellula di tre note che genera un canone a quattro voci. La struttura in sei parti è simile a quella di Vom Himmel hoch: 1, 2, 3, 3, 2, 1, con un progressivo accelerando (parallelo all’innalzamento melodico) fino alla metà del brano, seguito dal corrispondente rallentando dalla metà alla fine. L’estremo rigore costruttivo non esclude tuttavia una latente, implicita componente lirica: l’individualità espressiva di ogni singola voce risulta peraltro estraniata nel fittissimo ordito contrappuntistico, generando nuovi ed inattesi esiti poetici.

 

Roberto Prosseda